Che cosa diciamo ai genitori (e ai ragazzi) di fronte alla scelta della scuola secondaria di secondo grado?
Uno sguardo coraggioso sul reale
In molti anni e in numerosi incontri sono spesso rimasto sorpreso dagli sguardi attoniti di taluni genitori: che fare? cosa diciamo ai nostri figli? è proprio un salto nel buio? Si tratta del passaggio dalla scuola media alle superiori, una questione che si pone già durante la seconda media perché la scelta spesso va operata con molto anticipo rispetto ai rituali burocratici, se non altro per trovare posto nella scuola tale (magari paritaria, in certi casi molto ambite) o nel corso talaltro molto richiesto per gli sbocchi professionali di sicuro (sic!) successo lavorativo.
Da alcuni anni sia per le riforme mai arrivate a risultati concreti, sia per il quadro economico così fluido, il compito di chi cerca di aiutare i genitori e i ragazzi in una scelta è assai arduo, tuttavia ho sempre impostato il mio lavoro su alcuni punti fermi.
Per orientarsi occorre un riferimento e il primo punto fermo è la conoscenza di sé: un ragazzo si muove verso il futuro con una plausibile certezza se si conosce, se è aiutato dagli adulti che lo circondano a conoscere se stesso. Una operazione certamente non facile e oltretutto mai conclusa: ho sempre parlato ai genitori e ai ragazzi di realismo. Bisogna con nettezza guardare in faccia alla realtà, con una certa dose di coraggio per non lasciarsi abbattere dal pessimismo strisciante che connota molta generazione adulta, né d’altronde senza facili illusioni.
E’ fondamentale che aiutiamo i ragazzi in una ‘speranza’ di loro stessi e in loro stessi. Noi adulti dobbiamo essere sempre più consapevoli che viviamo in una società che ha ormai perduto ogni capacità educativa perché ha perso una identità e quindi non sa trasmettere speranze alle generazioni più giovani. La risorsa da cui partire è la persona stessa, la realtà del ragazzo, le sue attitudini, le sue difficoltà, i suoi desideri.
Fino a qualche anno fa mostravo ai genitori grafici e statistiche sull’andamento della occupazione, sul rapporto domanda/offerta anche in base ai titoli di studio o ai percorsi formativi; su questi dati si discuteva sulle scelte e le prospettive future dei ragazzi. Ora tutto è molto più labile e imprevedibile, l’unica risorsa certa è la persona con il suo desiderio di successo che non è altro che lo sviluppo di ciò che un ragazzo è e non ciò che noi riteniamo debba essere.
La scelta
Una seconda considerazione riguarda il fatto che, forse per la prima volta, i ragazzi sono messi di fronte a una scelta; scegliere vuol dire preferire e insieme escludere. Ogni scelta è una rinuncia a qualcosa, si tratta di sollecitare una responsabilità a cui le giovani generazioni non sono abituate anche perché noi adulti spesso ci sostituiamo a loro. E’ vero che si tratta di una scelta guidata dagli adulti, ma i ragazzi devono percepire il compito che sta loro davanti. La tentazione di sostituirci ai ragazzi anche in questa circostanza è molto diffusa, invece occorre evitare il relativismo che contraddistingue il nostro tempo: scegliere implica sempre mettere in gioco la libertà e quindi il rapporto educativo che intratteniamo con i ragazzi.
Scegliere comporta una inevitabile conseguenza, quella di escludere ciò che non si sceglie; non si tratta di qualcosa di irreversibile, ma è meglio non sbagliare se non altro per non perdere un anno; ma c’è un’altra conseguenza ben più importante: portare la responsabilità di ciò che si sceglie; responsabilità significa rispondere alla circostanza che si vive.
Quale scuola e dove?
Nella scelta del percorso superiore entrano in gioco molti fattori: se le attitudini e gli interessi possono portare al liceo o al tecnico, non tralasciamo di occuparci della modalità di apprendimento più confacente ai ragazzi, pertanto non scartiamo aprioristicamente percorsi di formazione professionale che sono talvolta (è il caso della regione in cui vivo) di ottimo livello e rispondenti di fatto al bisogno formativo dei giovani. Importante è il parere degli insegnanti: in seconda media conoscono gli studenti da due anni, il loro sguardo può rappresentare una illuminante apertura sui criteri di scelta. Compito dei genitori è il dialogo con i docenti del consiglio di classe: tutti, anche l’insegnante di religione e di educazione fisica, perché la persona è una e centro di un complesso fascio di bisogni e desideri.
Una volta individuato il tipo di scuola, spesso nasce il problema di dove iscrivere i figli: la scuola più vicina a casa o quella, magari paritaria, più lontana, ma che ci sembra presenti una offerta formativa più convincente? E qui entrano in gioco altri criteri, quello economico innanzitutto perché in un Paese come il nostro, tra le altre non libertà, c’è anche quella di doversi pagare la scuola due volte per chi sceglie quelle non statali. Sono molto in auge gli open day, occorre frequentarli, parlare con i dirigenti, gli insegnanti, gli studenti. Dico spesso ai ragazzi che non c’è migliore promotore di una scuola di uno studente che in essa si trovi bene; è utile intervistarli, sia per conoscere le difficoltà e i pregi sia per scoprire gli aspetti collaterali ai percorsi curricolari. Non è vero che un liceo è uguale a un altro, anche a partire da come si svolgono gli intervalli o da quali siano i progetti che il collegio docenti propone ogni anno: rugby o bridge? E le visite di istruzione? Occasione di conoscenza o sballo assicurato con la connivenza dei prof (a letto presto)?
È certo che ogni genitore pensi per il proprio figlio alla scuola migliore possibile; forse è il caso di occuparsi che le strutture siano efficienti, ma ancor più che i ragazzi possano trovare degli insegnanti che sollecitino la loro libertà, la loro curiosità per conoscere, per apprendere, per avventurarsi nel magma della vita con una ragione aperta, ricca di speranza.