Preso atto della “decadenza dell’idea del professore nella considerazione pubblica” dell’Italia di allora, nella seconda parte dell’intervento Del Noce s’interrogava sulla possibilità di ritrovare la sua vera statura. A suo giudizio, si doveva per questo intraprendere una profonda revisione della concezione non solo del sapere e dell’insegnamento, ma anche delle politiche della scuola e della più generale visione dell’educazione, diffusa nella cultura e nella società.



In questa direzione invitava a muoversi anche l’editoriale “Crisi dell’autorità e della scuola”, pubblicato sulla prima pagina di quello stesso numero del settimanale torinese. Al punto 6), parlando della crisi in atto nella scuola, esso affermava testualmente che “lasciar decadere in modo irreparabile il corpo insegnante, scoraggiandone quello che già esiste e, ciò che è peggio, scoraggiandone i migliori dall’entrare a farne parte, è un vero delitto contro il futuro del Paese”.



 (a cura di CARLO M. FEDELI- Docente Scienze della Formazione-Università degli Studi-Torino)


Nel campo della scuola, la vittoria dei Sofisti contro Socrate ?

In questo trapasso da una scuola formativa a una scuola puramente tecnica, nel senso deteriore che si è detto, si sta veramente svolgendo una «rivoluzione silenziosa». Non c’è semplicemente, si badi bene, la minaccia del crollo della scuola di stato; c’è quella del crollo della stessa idea umanistica e formativa della scuola. Dell’idea socratica, che è anche quella cristiana, perché proprio in questo punto della dottrina socratiana e nelle sue conseguenze metafisiche si compie la saldatura tra il pensiero antico e il cristianesimo.



Se le cose stanno così, non è un paradosso dire che l’episodio per sé modesto di uno dei rari scioperi senza carattere politico, come quello dei professori, porta a riflettere su uno dei tratti più salienti dell’attuale momento storico: che per la prima volta nella storia della civiltà italiana minaccia di verificarsi, nel campo della scuola, la vittoria dei Sofisti contro Socrate. Perché furono costoro appunto i primi a pensare l’educazione nella forma di apprendimento di tecniche. Chi sa che cosa significa l’opposizione dei Sofisti e di Socrate capirà che cosa voglio dire e la gravità del pericolo.

Il processo va avanti inevitabilmente per sola forza di inerzia: perché la sua linea obbligata è quella dell’adeguamento della qualità degli insegnanti alla loro condizione economica, e si realizza con necessità meccanica, attraverso l’interferenza della decadenza economica e dello scadimento morale nella considerazione pubblica.

Qual è ormai, oggi, il giovane capace – a meno che senta in sé una speciale vocazione alla testimonianza-martirio – che possa sinceramente porre la sua aspirazione in una carriera in cui, diventato professore di liceo a trent’anni, dovrà aspettare fino ai cinquanta quelle centomila lire al mese che, tenuto conto del generale elevamento del tono di vita, corrispondono sì e no alle mille di anteguerra?

Si potrà fermare quel processo? Oggi certamente ancora: i quadri degli insegnanti sono complessivamente efficienti. Il nuovo tipo esiste per fortuna ancora soprattutto «in idea»; questa idea avrà parzialmente già conquistato l’opinione comune, ma non si è ancora calata nella realtà. Ma domani, un domani prossimo, sarà certamente troppo tardi.

 

Viene ora naturale la domanda: Qualcuno  può aver interesse a questo eventuale crollo della nostra scuola media ?

A ben pensarci, nessuno: neppure i comunisti, perché da quella scuola di così scarsi interessi umani che sarebbe destinata a succederle, non potrebbe uscire che una generazione di apolitici e di conformisti. Del tipo, dunque, che i comunisti più avversano, almeno a parole. Sebbene poi non si possa ragionevolmente pretendere che si impegnino troppo nella difesa della scuola umanistica.

Dovrebbe sentirsene soprattutto preoccupato il partito della Democrazia Cristiana, che trae la sua ragion d’essere dalla difesa della tradizione da cui questa scuola è nata; e i cui membri dovrebbero far tacere, se in qualcuno c’è, la mediocre soddisfazione clericale di veder cadere quella scuola di Stato che tanti anni fa, come liberale e laica, fu in contesa con la scuola cattolica.

Perché, dunque, questa crisi non è stata finora avvertita nella sua ampiezza ? Si potrebbero forse trarne considerazioni piuttosto amare sulla sensibilità della nostra classe politica.

Ma non è il caso di indugiare in recriminazioni su un passato anche prossimo. È chiaro che il Governo dovrebbe, come atto primo, fare il possibile per reperire quei sei o sette miliardi necessari per dare al Fronte della Scuola una soddisfazione almeno morale, accontentando le sue ultime più che modeste richieste. Potrebbe probabilmente farlo, se la visione chiara della situazione della scuola servisse a distrarlo da quel timore della «rincorsa» delle altre categorie statali, in cui sembra ragionevole cercare uno dei principali motivi dei suoi dinieghi.

 

Augusto Del Noce

 

 

Augusto Del Noce, Scuola media «zona depressa» ?, in “il nostro tempo”, Anno X, N. 51, Domenica 25 Dicembre 1955, p. 2. Il testo è reperibile nell’Archivio della Fondazione Centro Studi Augusto Del Noce, conservato presso la Biblioteca dell’Università degli Studi di Torino –  Facoltà di Scienze della Formazione, sede di Savigliano. Si ringrazia la Fondazione per averne gentilmente permesso la riproduzione.

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