“I Colloqui fiorentini” svoltisi a Firenze dal 28 febbraio al 2 marzo 2013, incentrati su Giovanni Verga, hanno proposto con il titolo “Il semplice fatto umano farà pensare sempre” un Verga vicino alla conflittualità umana di tutti i tempi, tra giogo materialistico e tensione verso la componente altra e profonda dello spirito umano. L’evento ha raccolto intorno a tale ricerca – riflessione studenti e docenti di scuole secondarie di II grado di tutt’Italia, che, con entusiasmo e partecipazione hanno alternato l’ascolto verso interventi di critici, studiosi e scrittori, a serrati ed attivi confronti e dibattiti sul tema nei seminari, oscillando continuamente, tutti, tra fatto letterario e fatto umano.



Questa è la testimonianza di una docente che, nel percorso operativo con i suoi studenti per la partecipazione ai Colloqui, vive la sua stessa attività di docenza come formazione continua e, nella sfida di riformulare l’approccio didattico alla letteratura, riscopre il fascino dell’incontro nella scuola.

L’esperienza che vorrei raccontarvi è quella di una crescita maturata in me, nei miei alunni, nella nostra stessa relazione, soprattutto grazie allo spirito infuso da “I Colloqui fiorentini” a partire dallo scorso anno, quando per la prima volta ho iniziato questa importante avventura professionale ed umana.



Còlta dai Colloqui del 2012 in un periodo di sfiducia rispetto all’utilità ed alle possibilità di sentirmi compresa nella spinta di condividere il mio amore per la letteratura e per l’insegnamento, nel pieno cioè di uno scetticismo sul peso che questo mio appassionamento potesse avere su tutto il sistema scuola, devo dire che ne sono uscita arricchita di entusiasmi e di energia, a partire dai feed-back raccolti nel tempo dai miei alunni.

Quella di quest’anno in particolare potrei chiamarla pertanto l’esperienza delle riscoperte!

Prima riscoperta: il fascino di Verga. Riconosco di non aver mai apprezzato particolarmente questo autore, finora nel novero di quegli scrittori –a dire il vero pochi- che ho sentito distanti e freddi. Proprio il suo fatto umano mi ha fatto riconciliare con una rappresentazione dell’uomo che non potevo finora sospettare così coinvolgente.



Seconda riscoperta: la libertà di capovolgere l’ordine ordinario con cui ho sempre proposto i testi. Sono partita direttamente dalle parole dell’autore, anche senza rispettare l’ordine cronologico della produzione, scavando piuttosto nell’umanità che lo strumento letterario faceva palesare, respirando e facendo respirare ai ragazzi non la mera, pur induttiva, ricerca dei temi vòlta a ricostruire la weltanschuung dello scrittore ed alla relativa contestualizzazione storica, ma l’uomo che usciva fuori da quelle parole, fino a sentire e far sentire quell’autore uomo tra noi, accorgendoci insieme di quanto condivisibile o meno fosse la sua riflessione, ma soprattutto accorgendoci che ci accomunava tutti la percezione di quanto di umano ci sia nell’uomo, anche nascosto. Ho vissuto la libertà di proporre agli studenti un percorso pensato per irradiazione dal testo che facesse sentire forte e stridente l’impatto tra il fatto umano ed il giogo deterministico, ossia Rosso Malpelo, fino ad altri che ne rappresentassero ampliamenti o sfumature o conferme, ridirezionando le scelte testuali a volte anche in base agli spunti di riflessione da cui si rimaneva più colpiti o con cui ci si lasciava con più interrogativi; di volta in volta intervenivo a precisare la fase di produzione ed eventuali specifici riferimenti storicistici, ai quali sono certa non si debba mai rinunciare per avere un’idea completa e veritiera del personale modo di vedere e di sentire di chi scrive. Verga, insomma, respirava e parlava con noi. Riflessione ingenua, direte forse voi, alla quale giungo dopo 13 anni di insegnamento e tanta formazione universitaria e specialistica … Io la raccolgo come un’ epifanìa, che va ad insediarsi nella mia umanità di docente e di donna, che trasforma la mia grande passione per il fatto letterario in passione per il fatto umano che pulsa dentro al fatto letterario. Ho sempre saputo e creduto nella letteratura come anello di interrogazione, di rappresentazione e di comunicazione dell’uomo sull’uomo, ma questa volta ho sentito e vissuto essa stessa come fatto umano

 

Terza riscoperta:lo stupore degli alunni di misurarsi col lontano. Mi ha colpito, creando in me di volta in volta un effetto trascinamento, lo stupore di quelli, quasi l’incredulità nel risvegliare associazioni tra dinamiche dell’uomo riscontrabili nelle storie e nei personaggi verghiani ed il modo di vivere certe situazioni oggi da parte di tutti noi. Con ciò loro si accorgevano poco a poco di cogliere l’autore non lontano da loro, di poter entrare in una serrata dialettica con le sue ipotesi e congetture e, soprattutto, di sentirlo tanto vicino in alcune constatazioni ed in alcuni tormenti dei suoi personaggi. 

 

Ed è stato bello vederli passare dallo stupore iniziale all’entusiasmo del mettersi in comunicazione con qualsiasi altro autore, alimentati dalla curiosità continua di sapere cosa pensasse e provasse il successivo, per cogliere quanto fosse vicino o lontano al proprio modo di sentire e di vedere le cose, avendo ormai assorbito sin dall’inizio dell’anno scolastico una chiave di lettura, un parametro di indagine della sensibilità degli scrittori: il fatto umano, quanto sia riconosciuto da essi, quanto sia riconoscibile dentro alla problematicità che ogni volta evidenziano nell’uomo e quanto lo sia nella loro stessa sensibilità.

 

Quarta riscoperta: crederci per essere convincente. In questo percorso sul fatto umano, iniziato con Verga ed ancora aperto con altri autori, ciò che ha costantemente rinnovato l’energia nel mio lavoro è stato il circolo virtuoso venutosi a creare tra domande e risposte degli alunni alle mie, direi, “provocazioni” letterarie. Queste ultime infatti partono dalla necessità di rispondere a domande aperte dei ragazzi sul senso di questa loro vita, che sentono smarrito tra i meandri del tutto e niente che la nostra società globale dei consumi gli propone facendoli sentire “privati della libertà di essere se stessi”, o “dentro ad un buco nero che fa venire le vertigini”, come mi hanno scritto in un tema. I miei percorsi cercano allora di incrociare tali esigenze con le mie urgenze e finalità didattiche letterarie, andandovi a pescare e svelare il pensiero, il battito, gli interrogativi dell’uomo di tutti i tempi. E la spinta che mi permette ogni volta di creare tale integrazione, superando la fatica e le difficoltà che implica questa complessa operazione, è proprio la risposta di volta in volta degli studenti stessi: ovvero il coinvolgimento, l’interesse alla dialettica, l’entusiasmo di cogliere un’opportunità e di aspettarsi un input nuovo con cui scovare quale faccia ogni volta abbia “il fatto umano”…., accettando il mio implicito invito a non lasciarsi spegnere il cervello ed il cuore ……. E sono convinta che tutto ciò è possibile perché io ho creduto ogni volta nella sfida, rinnovando l’angolatura con cui proporre il discorso e loro lo hanno sentito. Ma al contempo io non riuscirei a crederci così profondamente se non fossi contagiata dal loro desiderio di risposta ….. Come ci ha detto a Bologna il prof. Marco Bersanelli, “non possiamo non avere un conto aperto con ciò che insegniamo”.

 

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