Nel proseguire la riflessione precedentemente condivisa sull’esperienza professionale ed umana vissuta a “I Colloqui fiorentini” dell’anno in corso, propongo altre due considerazioni sul lavoro svolto in preparazione all’evento letterario, legate alla riscoperta dell’imprescindibile interazione tra docente e studenti: la valorizzazione della loro iniziativa li porta a rispondere con fiducia alle proposte di ricerca dell’insegnante, proiettandoli con curiosità verso il confronto vivo tra loro e con l’autore.
Si riscopre, così, tutti, docente e studenti, la grande occasione di un incontro non più solo letterario, ma umano.
Quinta riscoperta: i ragazzi al centro. Nell’interagire con i singoli gruppi di lavoro formatisi specificamente per “I Colloqui Fiorentini”, poggiando sulla modalità induttiva ed interattiva con cui ho sempre impostato il mio insegnamento, ho maturato una nuova consapevolezza: l’importanza di affidare ad un certo punto l’iniziativa esplorativa di un autore o di un testo ai loro personali desideri di ricerca , non per questo rinunciando alla completezza della conoscenza letteraria ed io al mio ruolo di guida; si tratta piuttosto di raccogliere la legittima richiesta degli alunni di sentirsi protagonisti del proprio studio, provvedendo poi io insegnante ad inserirmi nel percorso da loro avviato con le debite indicazioni di rotta, con spunti e riferimenti direzionati al raggiungimento della visione d’insieme di ciò che l’autore pensa e prova sull’uomo. E gli approdi cui gli alunni sono arrivati sono gli stessi che io inizialmente auspicavo pensando di attivare un certo percorso, in realtà raggiunti attraverso una via diversa, e diversa non solo dalle mie proposte di partenza, ma anche dalle strade iniziali da loro stessi scelte ed intraprese.
Mi spiego, raccontandovi alcuni passaggi del lavoro con i gruppi.
Come primo input ho proposto ai miei nove alunni la lettura di due novelle non trattate in classe e piuttosto particolari rispetto ad esse: X e Lacrymae rerum. Contestualmente ho suggerito loro di vedere, dopo la lettura, il film “La finestra di fronte” e di coglierne soprattutto suggestioni, più che confronti razionalmente pensati. Questo lavoro i ragazzi lo hanno svolto nei due nascenti gruppi, cominciando così ad assaporare il gusto dello scambio di emozioni prima che di opinioni e “saggiando” l’avvio di una complicità di gruppo… Il confronto, il dibattito su quanto letto e visto ha animato il nostro primo incontro tutti e dieci insieme.
Dopo un’interessante chiacchierata con cui mi sono gustata il piacere di viaggiare con disinvoltura e tranquillità attraverso le parole e le immagini di Verga, le immagini di un film di qualche anno fa, i pensieri e le suggestioni personali di ciascuno di noi, i riferimenti agli scenari quotidiani concreti ed emozionali che ospitano la vita dei ragazzi di oggi, ho lasciato gli alunni per un po’ soli nei due gruppi a pensare l’argomento da proporre su cui avrebbero voluto lavorare. Bene, di fronte al lungo elenco di idee, alcune più prettamente letterarie, altre più umane-attualizzanti, che personalmente avevo raccolto nel tempo, ma ancora a loro taciute… Ho accolto le loro due proposte, che non erano nel mio elenco, per una serie di motivi, ma che, ho pensato, se loro le avevano scelte, sarebbero state senz’altro il filo giusto su cui far camminare la ricerca… Si trattava del loro fatto umano che si andava ad incrociare con quello di Verga: nessuno poteva intromettersi, forzandoli in una direzione diversa.
Un altro momento inimmaginato di questo viaggio è stato il fatto che i ragazzi di entrambi i gruppi hanno letto testi da me non sollecitati, solo menzionati, come Storia di una capinera, Tigre reale, Nedda, L’amante di Gramigna, Amore senza benda: vi hanno lavorato, sottoponendomi le analisi operatevi, ma poi nell’argomentazione finale ne hanno inseriti solo alcuni, pur avendoli ormai fatti propri, come capivo quando parlavano e spiegavano i loro punti di vista: insomma loro hanno scelto. Hanno scelto di leggere, cosa leggere, su cosa indugiare, soprattutto cosa trattenere per sé e con cosa voler restituire agli altri l’immagine del fatto umano verghiano. Insomma, si sono immersi in ciò che leggevano e vedevano con una serietà che mi ha quasi commosso. Ricordo ancora la compartecipazione con cui Francesca e Riccardo mi raccontavano l’intensità di certe immagini, dei gesti e di certe parole che avevano colto durante la visione dei film “La lupa” e “La ciociara”, che hanno scelto come uno degli strumenti per entrare a ragionare sul fatto umano verghiano.
Un’ultima constatazione riguarda l’aver fatto i conti con la bibliografia ed il supporto della critica, altra situazione significativa di questo incontro tra i ragazzi e l’autore, che io ho prospettato loro solo dopo che avevano affrontato il personale e diretto confronto con i testi. Sulla scia di tanta scientificità con cui la mia formazione mi ha plasmata, la mia idea era di incrementare le loro intuizioni con la “verità” della critica: i ragazzi, a dire il vero, sono invece fino alla fine rifuggiti un po’ da questo approccio, perché, si sa, a 19 anni ancora si è dentro ad una certa autoreferenzialità e centralità del proprio ego e della propria sensibilità, cui noi ovviamente diamo adito ogni volta che lasciamo loro libero il campo per esprimerla con l’iniziativa personale.
Eppure per me quello era un passaggio importante da fargli sperimentare; nonostante le resistenze, sono riuscita poi a fargli leggere i contributi critici, perché io stessa ho capito che potevo non rinunciarvi a patto di proporre nel modo adeguato tale intervento esterno nei loro pensieri: la critica non andava ad integrare, ma a supportare, mostrando l’angolatura scientifica su questioni che loro da soli avevano già percepito. Così finalmente i ragazzi hanno accolto l’idea che l’umiltà di misurasi con persone autorevoli non implica la rinuncia o la minimizzazione delle proprie scoperte… Nel maturare questa mia nuova prospettiva sull’utilizzo in classe della critica mi sono state preziose le indicazioni proprio di Pietro Baroni, che, quando gli ho avanzato le mie incertezze a riguardo, mi ha suggerito di fornire solo alcuni riferimenti critici, mirati a conclusioni o ipotesi cui stessero pervenendo gli studenti.
Sesta riscoperta: questa è sia mia che dei miei alunni: il lavoro in gruppo de visu. Non quello virtuale, non quello via chat, non quello via web cam… Quello vero, fatto di parole, di sguardi, di risate, di dibattiti e di scontri, di righe scritte a quattro, sei, otto mani, di pensieri che si incrociano e che si accavallano, di difficoltà che si superano perché uno sa fare una cosa ed uno un’altra, perché uno ha un’intuizione un altro la sa scrivere. Questi ragazzi si sono ritrovati per lavorare almeno sei volte oltre i cinque incontri fatti insieme a me, perfino di sabato e di domenica… E se il fine era la produzione di un buon contributo che concorresse ad una gara e permettesse di accedere ad un’esperienza importante, certamente la tensione che ha tenuta accesa tanta partecipazione corrispondeva al desiderio di condividere insieme le scoperte cui giungevano di volta in volta, sempre più interessanti perché passavano attraverso la loro stessa vita, non ne rimanevano distanti; anzi, così vicine e vive da fornire a ciascuno di loro nuove lenti per guardarsi intorno e per guardare cose e persone con la curiosità di cogliervi il “fatto umano”. Il lavoro di un mio gruppo si chiude con la poesia di J.Prevert Cet amour, poesia che Andrea il giorno dell’ultimo incontro del gruppo ha per caso scoperta e letta a casa di Valeria, sfogliando un libro di poesie lasciato casualmente sul mobile della sala dal nonno… «Professoressa, è stato come un presagio. Il libro sembrava che stesse lì ad aspettare che noi lo leggessimo. Vorremmo chiudere allora il nostro discorso con questa poesia, perché dice tutto quello che abbiamo cercato di spiegare. Lei che ne pensa?». La poesia conclude il loro lavoro e rappresenterà per me per sempre il ricordo del “fatto umano” che ha permesso alla letteratura di entrare, come un presagio o come un prodigio, dentro alla nostra vita e di mescolarsi con essa, facendoci sentire possibile l’amicizia con Verga e tra noi.