Le associazioni di insegnanti da sempre si occupano di formazione, sia in ingresso alla professione sia in itinere, come aggiornamento necessario alla professionalità. Non potrebbe che essere così. Un’associazione professionale infatti nasce, si sviluppa e permane proprio in funzione della domanda di formazione dei suoi soci e della condivisione creativa dei tentativi di risposta a tale domanda. Abbiamo invitato per questo motivo alcune tra le associazioni più significative nel panorama scolastico italiano ed esperti della formazione. Hanno accettato l’AIMC (Sonia Claris), il CIDI (Walter Moro),l’ ex Direttore IRRE Lombardia (Giuseppe Boccioni), MONTESSORI (Andrea Lupi ) e l’ UCIIM (Rossella Verri). Li ringraziamo cordialmente.



Attorno ad un tavolo, coordinati da Giuseppe Meroni di DIESSE, hanno accettato di confrontarsi in modo chiaro, leale e ampio sulle esigenze, i problemi, le questioni rilevanti della formazione, partendo dalla seguente domanda: “La formazione degli insegnanti, nelle modalità di erogazione specifiche di ciascuna associazione, viene percepita da voi come viva o morta ? Con una prospettiva di crescita o al contrario con un destino di asfissia lenta e inesorabile? “



I nemici del diritto-dovere della formazione

Rossella Verri, Vicepresidente Nazionale UCIIM. Il problema fondamentale sta nelle norme del vigente contratto di lavoro. L’aggiornamento dal 2001 si evidenzia nel CCNL soltanto come un diritto da parte del docente ma non come un dovere, benché permanga la sua obbligatorietà secondo il DPR n. 419 del ‘74, art. 7 sempre vigente. Il riferimento esclusivamente al diritto ha determinato la non promozione dell’aggiornamento, affidato solo al maggior interesse e alle scelte personali degli insegnanti, indipendentemente da qualsiasi obbligo sia normativo, sia valoriale della loro professionalità. Si è lavorato invece in ambito ministeriale sulla formazione iniziale di cui al regolamento del 2010 articolato e complesso, trascurando quella in itinere, nella prospettiva certamente di una nuova classe di docenti meglio formata, trascurando però il maggior numero dei docenti, già in servizio. La promozione e la valorizzazione della formazione in itinere è anzitutto un fatto culturaleche si richiede per tutte le professionalità , ma non diffusamente per il personale della scuola: non si tiene in debito conto che compito anzitutto della famiglia e poi della scuola è l’educazione e la formazione del giovane : la funzione docente è quella di insegnare a pensare e quindi di costruire con la famiglia il futuro cittadino di domani.



Per colmare questa lacuna sarebbe utile proporre e sostenere un adeguato finanziamento e riconoscimento della formazione in servizio, nonostante le attuali difficoltà economiche del paese . Per favorire la crescita di solito i paesi investono proprio in istruzione. Compito delle associazioni professionali attive è quello di sostenere accanto alla formazione iniziale la formazione in itinere: i nostri destinatari sono i docenti maggiormente disponibili, nonostante i sempre più intensi impegni scolastici; pertanto si riescono a raggiungere solamente una parte dei docenti perché non ci sono incentivi nemmeno normativi come nel passato, perché i tempi liberi dagli impegni scolastici sono sempre più ristretti, perché l’aggiornamento non è un mezzo per favorire lo sviluppo della carriera. Siccome l’obiettivo dell’insegnamento è la formazione dello studente , lo stato dovrebbe rivolgere maggiore attenzione alla persona dello studente per offrirgli una qualità di insegnamento che migliori nel corso dei tempi, tale che non sia statica e che non sia condizionata dalle logiche di risparmio economiche.

Walter Moro, Presidente del CIDI di Milano. Nel nostro sistema d’istruzione, la formazione in servizio non è obbligatoria, è lasciata alla libera iniziativa dell’insegnante. In Europa siamo forse l’unico Paese che non prevede nessuna forma di aggiornamento obbligatoria, nemmeno quando si introducono riforme importanti per via legislativa. Gli esempi sono sotto gli occhi di tutti; negli ultimi dieci anni sono stati rinnovati, per via normativa, gli impianti culturali della scuola dell’obbligo con le Indicazioni Nazionali per il curricolo della scuola dell’Infanzia, Primaria e Secondaria di primo grado. Nella Secondaria di secondo grado sono state introdotte le Linee guida per i tecnici e i professionali; per i licei, invece, di fronte a questo cambiamento che rinnova gli impianti didattici e culturali puntando sulla didattica per competenze, sul versante della formazione non sono state messe in campo da parte del Ministero della Pubblica Istruzione strategie di accompagnamento e di sostegno al cambiamento, né sono state investite risorse economiche per l’aggiornamento dei docenti. E’ come se io mi facessi fare il progetto di un bell’edificio e poi mi dimenticassi di dare l’appalto alle imprese per costruirlo. Noi ci siamo accontentati del progetto. Abbiamo rinnovato gli impianti culturali di tutte le discipline, però sinora sono rimaste sulla carta perché non stati tradotti concretamente in processi di crescita professionale dei docenti. La formazione in servizio non è obbligatoria, non ci sono investimenti, se non residuali, non c’è una cultura innovativa a sostegno delle istituzioni scolastiche autonome, capace di tenere insieme ricerca didattica e formazione in servizio. Le poche esperienze positive sul terreno della formazione e della ricerca didattica sviluppate prima dagli IRRSAE poi dall’IRRE e dall’ANSAS sono state definitivamente chiuse. Per rinnovare la didattica occorre fornire ai docenti strumenti di progettazione didattica. Centrare l’attenzione sulla progettazione didattica serve per mettere in grado il docente (quindi la scuola) di tradurre le Indicazioni Nazionali in reali processi di apprendimento. Tutto questo richiede una nuova politica sulla formazione che sia seria e di qualità. Politica che solo le associazioni professionali dei docenti possono assicurare perché lavorano direttamente con gli insegnati sulla didattica e per questo andrebbero sostenute e incentivate con risorse.

L’associazione: un organismo sociale attivo da riconoscere e tutelare

Oggi invece la formazione dei docenti, non solo di quella iniziale come ad esempio il TFA, è in larga parte gestita dalle Università attraverso i Master a pagamento che rilasciano punteggi (un Master di circa 1000 ore ha un costo medio di 3.000 euro e rilascia fino a 4 punti) fondamentali ai fini della carriera degli insegnanti. Mentre i corsi organizzati dalle associazioni professionali in generale possono rilasciare solo 0,5 punti per corso. Chiaramente siamo di fronte ad una concorrenza sleale.

Tutta questa materia, a mio avviso, dovrebbe essere rivista alla luce di una nuova normativa sul reclutamento dei docenti. Intanto è necessario affermare che il reclutamento dei docenti deve avvenire attraverso un concorso pubblico da attivarsi regolarmente ogni due/tre anni. Che il Tirocinio Formativo Attivo attuale va rivisto. Mi chiedo: che senso ha dare all’università questa formazione? Non sarebbe più efficace e corretto, dopo aver acquisito la laurea (oggi definita magistrale perché piegata all’insegnamento), attivare il concorso e poi successivamente garantire al vincitore del concorso un anno di formazione sul campo, nella scuola, con una valutazione finale seria che verifichi le reali competenze professionali? E’ necessario semplificare e accorciare i tempi del percorso di reclutamento dei docenti: oggi è troppo lungo e farraginoso ed ha dei costi eccessivi. Compito delle Università è quello di far laureare bene lo studente. Mente tutta la formazione professionale del docente va ricollocata nell’ambito della scuola, nelle reti di scuole perché essa si basa in prevalenza sulla competenza didattica che si acquisisce direttamente lavorando in una organizzazione scolastica che ha come “mission” l’insegnamento e l’apprendimento. Su questo terreno le associazioni professionali possono giocare un grosso ruolo, dando un forte contributo soprattutto sulla ricerca didattica e su nuove strategie di formazione dei docenti. Riteniamo importante che si apra un tavolo di discussione soprattutto con i partiti politici rappresentati in Parlamento per capire se esiste una strada che rimetta al centro lo sviluppo professionale dei docenti, aprendo reali percorsi di carriera.

Giuseppe Meroni, dirigente. Sono molto d’accordo anche per una possibile iniziativa comune. Da Verri e Moro emerge un’impostazione molto chiara che ripropongo in 3 punti.

 1. Noi ci troviamo davanti una situazione giuridica che non sta assolutamente considerando ciò di cui stiamo parlando. Prima c’erano questi enti che abbiamo nominato, ora non più. Quindi questo è l’ aspetto da affrontare sul piano giuridico – politico. Occorre tentare una serie di strumentazioni.

 2. Le associazioni vengono ridotte ad enti di volontariato sguarniti di tutto e del tutto disistimati e subiscono la sorte degli insegnanti che sono socialmente disistimati , con la paura che incentivando l’insegnante si perdano soldi per lo stato. L’auspicio è che si possa arrivare al riconoscimento dell’associazione come organismo sociale attivo (tentativo fatto nel passato dalle associazioni unite.)

 3. Il contenuto specifico, l’oggetto della formazione in servizio da valorizzare maggiormente sono la competenza e/o la didattica, non soltanto un sapere o un contenuto che sarebbe frammentato in milioni di materie, la formazione deve essere tenuta da chi fa effettivamente ricerca sul campo. Oggi la formazione è spesso messa in atto (come accade in tanti corsi universitari) da chi dichiara di non aver mai messo piede in un’aula scolastica.

 

Pluralismo, specificità ed autonomia


Andrea Lupi, del Comitato Fondazione Montessori.Il metodo “Montessori” in Italia è poco diffuso nel pubblico. Le leggi non favoriscono in alcun modo la formazione Montessori, anche a fronte di un’esplicita richiesta dalle scuole stesse. Al Ministero molti dirigenti sostengono di non poter prendere decisioni, ed entrano in crisi nel momento in cui si richiede l’autorizzazione ad aprire nuove sezioni di scuola elementare in cui si adotti questo metodo. Chiedono di soprassedere e di aspettare, non tenendo conto che non si possono tenere famiglie, docenti e formatori in stand-by. A riguardo, il MIUR è stato condannato negli ultimi dodici mesi due volte dal tribunale di Roma e da una sentenza del Consiglio di Stato (basandosi sul R.D. 5 febbraio 1928 n. 577) perché sostanzialmente non riconosceva la formazione svolta dal docente (a meno che questi non l’avesse svolta con un unico ente accreditato dal Miur, un unico ente su tutto il territorio nazionale!). Viviamo una situazione in cui si “impantana” la formazione, non fornendo ai presidi che richiedono un corso di formazione sul metodo “Montessori” indicazioni di tipo legislativo, operative e procedurali su come muoversi nelle controversie e nelle problematiche che possono sorgere. Il sistema di formazione iniziale con il metodo “Montessori” è molto variegato: si può fare formazione con associazioni che fanno corsi progettandoli con la scuola, oppure con il gli esperti con master in università, o ancora con enti che storicamente la propongono sul proprio territorio di riferimento. Vi sono state rigidità anche nel riconoscimento delle associazioni che propongono il metodo “Montessori” e sono sorte difficoltà nell’accettazione del numero di ore previsto per ritenere valido il corso. Non viviamo proprio un momento facile.

Giuseppe Meroni. Il caso dell’associazione “Montessori” è estremamente importante perché essa forma solo su quel metodo pedagogico specifico, particolare. E’ interessante perché le posizioni pedagogiche possono essere diverse, corrispondenti alle varie tradizioni delle associazioni professionali, ma deve esistere un interlocutore a livello del Ministero con la creazione di un settore che sia concepito come uno spazio di decantazione oggettivo e di interlocuzione diretta con queste tradizioni pedagogiche e culturali che sono la ricchezza del Paese. E’ un’assoluta astrattezza e mancanza culturale non considerare ciò che c’è sul territorio, come ricchezza di tradizione culturale.

Luoghi e strumenti di riflessione critica e di innovazione creativa

Sonia Claris, Presidente AIMC Bergamo, membro del Consiglio Nazionale. Agli aspetti fin qui delineati da chi mi ha preceduto e cioè la mancanza di una copertura normativa a seguito del fatto che la formazione sia un diritto dovere, ed il fatto che la formazione è diventata sempre più marginale sia dal punto di vista economico sia dal punto di vista dello sviluppo di carriera, aggiungerei altri due aspetti specifici dell’AIMC.

Il primo. La nostra associazione ha sempre mantenuto uno stretto legame, una connessione integrata tra la formazione iniziale e quella in itinere, nel senso che è uno sviluppo professionale quello che noi abbiamo in mente attraverso diverse età della vita professionale. Per ogni periodo di insegnamento ci sono esigenze formative differenti a cui andare incontro. Riteniamo che gran parte del burnout professionale attuale sia determinato dal fatto che diamo sempre le stesse pietanze a degli appetiti differenti, in quanto cambiano una serie di elementi e le condizioni esistenziali .

Secondo. Ribadiamo che la specificità della formazione delle associazioni sia proprio la dimensione professionale, non quella strettamente culturale contenutistica; le associazioni sono luoghi in cui si riflette sulla didattica, in cui gli insegnanti che la didattica la praticano, hanno un luogo di riflessione in cui mettono al confronto le loro pratiche e nel momento in cui fanno ciò e ci riflettono sopra, le presentano come pratiche esperte. Purtroppo gli insegnanti dovrebbero essere più autorevoli e più autorevolmente ascoltati perché nelle aule entrano tutti i giorni. E’ l’arte del’insegnare che comporta la mediazione dei saperi ai ragazzi nelle loro varie età, altrimenti non si è insegnanti ma dotti. Noi cerchiamo di portare avanti anche la dimensione collegiale della formazione, cioè esiste una formazione del singolo discente, ma anche quella come comunità sia nell’ambito associativo sia nell’ambito della scuola. Se vogliono diventare dei luoghi di formazione adeguati le scuole devono diventare dei luoghi dove i docenti si formano possibilmente tutti assieme e non in separata sede. Da preside di un Istituto comprensivo direi che per evitare la frantumazione e la perdita di unità pedagogica e didattica, il punto focale sarebbe riproporre una formazione per l’intero collegio dei docenti, che, individuato un filone interessante, lo faccia diventare un elemento di qualità nel POF della scuola. Non solo la sicurezza o il pronto soccorso, ma una formazione di più ampio respiro, che per noi di AIMC va nella direzione della impostazione educativa personalistica.

 

Giuseppe Boccioni, ex Direttore IRRE Lombardia. Condivido quanto è stato detto,frutto di esperienza e di riflessione. La formazione è legata a quanto politicamente si pensa della scuola. Se si ritiene che la scuola sia quella che forma le persone, quella da cui dipendono le future generazioni ed il futuro dell’Italia, ovviamente si investe sull’istruzione, sulla formazione, sulle strutture laboratoriali, sulla ricerca, sull’attenzione ai brevetti, sul rapporto tra scuola e mondo del lavoro.

Anche dalla mancanza di queste attenzioni dipende il fatto che l’Italia non va bene in termini di produzione, di PIL. Per produrre occorrono competenze. E’ garanzia di attenzione alla crescita della persona, favorire la crescita delle competenze dei giovani in formazione e dei lavoratori. Ricordiamo la validità dello slogan: apprendere per tutto l’arco della vita. Questo principio vale soprattutto oggi in presenza di una crescita culturale e scientifica che si evolve con un’accelerazione storica ormai di tipo imprevedibile. Da qui la validità di aggiornare costantemente le competenze e la formazione della persona affinché sia in grado di gestire da protagonista il cambiamento. Purtroppo oggi non è così. La ricerca internazionale OCSE ALL (1994 -2000) sulle competenze degli adulti ha rivelato che, a proposito di questo indicatore, l’Italia occupa uno degli ultimi posti. Se questa coscienza è presente, occorre essere conseguenti nei comportamenti. Purtroppo non è ancora sempre così. Anche nell’ultimo concorso a cattedre per i docenti (Decreto 82/2012), rispetto alla necessità di verificare e valutare le competenze culturali e professionali dei candidati – come pure era ben esplicitato nel bando – di fatto gli scritti hanno teso soprattutto a verificare e valutare le competenze disciplinari, per altro già ampiamente verificate nel corso degli anni di studio per il conseguimento della Laurea e dell’ abilitazione all’insegnamento. Su questo terreno, il contributo delle associazioni, di tutte le associazioni accreditate, può essere davvero prezioso. I docenti in questo momento di cambiamento – lo sto costatando di persona anche in una esperienza di valutatore delle scuole – hanno bisogno di formazione seria e continuativa; hanno bisogno di essere accompagnati per diventare sempre più protagonisti responsabili della nuova scuola, della “buona scuola” che tutto il paese attende.

Buone pratiche e contenuti della formazione


Giuseppe Meroni. Facciamo un passo oltre. Dove avviene un’esperienza di formazione nella realtà?Cosa impedisce che ci sia una reale ricerca-azione dei docenti che si pongono come soggetto dentro la situazione in cui si trovano? E’ sia una questione di risorse sia un problema di riconoscimenti. E’ la questione delle buone pratiche, cui dare una visibilità; la questione della effettiva possibilità dei docenti di trovarsi e di fare una azione che venga riconosciuta , condotta insieme ai dirigenti, per il bene della scuola dove vivono. Facciamo allora un’incursione sull’aspetto del contenuto effettivo della formazione e come i soggetti della formazione possono utilizzarli. Stante la condivisione degli aspetti da tutti fin qui denunciati circa la necessità di porre un’azione tutti insieme, lo scoglio è la difficoltà ad applicare nuovi ed alternativi contenuti della formazione che potrebbero anche migliorare la qualità dell’insegnamento dei docenti, facendo loro risparmiare tempo. E’ questo un aspetto che è andato scemando, mancando una riflessione che sia dialogata. C’è il costruttivismo che va di gran moda e di cui si possono usare una gran quantità di strumenti, in genere sono lasciati alle Facoltà di pedagogia che ci costruiscono teorie complesse e non utilizzabili, fatto questo che crea un distacco abissale tra quelle e il loro oggetto specifico, ossia la vita quotidiana scolastica.

Propongo allora la seguente domanda: “Dal punto di vista dell’insegnante che mentre si aggiorna ha a che fare con la propria materia, cosa fare in situazione, in loco, perché sia possibile un aggiornamento che sia una ricerca-azione?”

 

Rossella Verri. Vorrei porre tre osservazioni di tutto il discorso sulla formazione dalle quali secondo noi dell’UCIIM non si può prescindere. 

 1. La revisione dello stato giuridico per i docenti, che è avvenuta soltanto per i DS e per il personale ATA.

 2. L’investimento nella ricerca. L’ultima legge di stabilità ha ridotto fortemente gli stanziamenti.

 3. Le misure di accompagnamento alla formazione da parte dell’amministrazione scolastica. Il riferimento è in particolare alle ultime norme, le Indicazioni Nazionali per la Scuola dell’Infanzia e del Primo ciclo, dove le misure di accompagnamento rispetto a quello di Fioroni del 2007 e precedentemente della Moratti, sono indicate all’art. 4 in maniera assolutamente generale. Questo non favorisce l’aggiornamento che si potrebbe fare in concorso con le associazioni professionali, i cui destinatari maggiormente disponibili sono ad oggi prevalentemente gli aspiranti all’insegnamento e quelli alla dirigenza scolastica. Accanto a questi ci sono però gruppi di docenti o dirigenti scolastici che “commissionano”alle associazioni professionali corsi di formazione su ciò che ritengono carente nella loro scuola o da approfondire a seguito delle nuove norme. E’ inoltre importante, per quanto concerne la formazione in itinere dei docenti, che siano anzitutto aggiornati i dirigenti scolastici, sia quelli che lo sono già, sia quelli che lo diverranno (ora l’Indire sta organizzando la formazione per i neo-assunti), e che essi siano aggiornati non solamente negli aspetti burocratici ed amministrativi, ma anche e in modo particolare in quelli dell’organizzazione, della comunicazione e della promozione della didattica innovativa, affinché gli insegnanti possano svolgere la didattica per competenze ed apprendere anche le modalità del lavoro di gruppo e laboratoriale in aula. E’ anche importantissimo che le Direzioni scolastiche regionali, oltre all’ampio lavoro di formazione che mettono in atto , avviino contatti e collaborazioni con le associazioni professionali nel campo dell’aggiornamento. E’ questo un discorso di tipo culturale che richiede debiti tempi di programmazione.

 

Walter Moro. Per rispondere all’ultimo quesito, posto da Meroni, parto anch’io da una breve riflessione sul sistema su cui si appoggia la formazione sul campo, intesa come ricerca-azione, perché non sia solo legata alla volontarietà del Dirigente illuminato o all’occasionalità. La questione che si pone è il sistema della formazione che, smantellato quello legato ai decreti delegati, dovrebbe poggiare sul DPR n. 275 dell’8/03/’99 che è il regolamento dell’Autonomia delle istituzioni scolastiche che richiede un nuovo modello di organizzazione dell’offerta formativa, altrimenti non è più tale. Il POF avrebbe dovuto rimodellizzare l’organizzazione della didattica nella scuola, invece vediamo che il modello è rimasto quello tradizionale, a pettine, gentiliano, con strutture orarie settimanali, e questo dice di una parcellizzazione totale che non è né funzionale, né efficace all’apprendimento.

Uno dei due punti cardini su cui bisognava effettuare tale passaggio per quanto riguarda la ricerca e la formazione è l’istituzione di figure di sistema che, dal momento che ci si muove verso organizzazioni scolastiche complesse che agiscono su territori articolati, siano capaci di tenere saldo il rapporto tra organizzazione della didattica, progetto formativo della scuola e attività di apprendimento in classe. Questo non lo può fare il Dirigente che è diventato un burocrate o l’insegnante che si chiude nella classe. Manca tutta l’impalcatura intermedia che è interna alla scuola e che dovrebbe essere in collegamento con il territorio.

 L’altro aspetto cardine non applicato riguarda la costituzione di laboratori territoriali, di reti in cui si possa anche staccare del personale docente perché segua la documentazione, la formazione e la ricerca, come previsto dalla legge. C’è assenza di volontà politiche in questo caso. Inoltre va chiarito che all’amministrazione scolastica non competa la gestione della formazione in servizio, ma deve svolgere un ruolo di coordinamento e di stimolo delle politiche formative; questa competenza compete alle singole scuole autonome e o associate in rete. La domanda è: «Come mai i sindacati non hanno mai fatto una battaglia su questo?»

 Le associazioni professionali si sono indebolite sempre di più, la politica si disinteressa di queste cose. Il mio assioma è formazione/apprendimento, cioè la qualità dell’apprendimento si differenzia – dati alla mano – sulla qualità dei processi di insegnamento/ apprendimento. Il paese è in recessione e la strada per poterlo tirar fuori è l’investimento sulla formazione.

 

Per un apprendimento significativo

Giuseppe Meroni. Potremmo richiedere alla politica, come associazioni, di aprire uno spazio all’interno dei sottosegretariati sul caso specifico, non sull’associazionismo in generale. Noi abbiamo a cuore la formazione per l’apprendimento, non solo quella dei nostri iscritti; desideriamo che ci sia un’effettiva salita dei parametri dell’OSCE Pisa la cui negatività ci viene rovesciata addosso in senso accusatorio. Abbiamo bisogno che l’Indire prenda in considerazione che l’apprendimento diventerà significativo, se qualcuno formerà i docenti perché questo avvenga. Poniamo la finalità: vogliamo una formazione per un apprendimento significativo.

 

Giuseppe Boccioni. Metto lì alcuni elementi: la formazione per compiti reali – già promossa a suo modo da Quintiliano, uno dei primi maestri della storia, – e la formazione su come la scuola, i docenti debbono garantire in concreto l’esercizio di quel “diritto ad apprendere” sancito nell’articolo 21 della L 59/97. Rispetto al primo elemento sottolineo l’importanza del lavoro interdisciplinare – in stretta relazione con la vita vissuta dai giovani – che ogni Consiglio di Classe deve poter garantire per permettere a ciascun alunno di crescere (educarsi e formarsi) in maniera armonica. Rispetto al secondo elemento sottolineo l’importanza di favorire un insegnamento che risponda alle esigenze di ogni studente rispetto al processo/metodo di apprendimento che gli è proprio. Questo può richiedere un’organizzazione flessibile della classe o di classi parallele in cui si possono favorire gruppi di studenti per livello di preparazione e/o di metodo di lavoro/apprendimento. Anche su questi temi l’azione delle associazioni, per esperienze maturate, per presenza diffusa sul territorio, per condivisione di finalità ed obiettivi può essere più che preziosa. E questo vale tanto più oggi che le note vicende di natura legislativa hanno portato alla soppressione degli IRRE, che – nella tradizione degli IRRSAE – si sono fatti carico di sostenere ed accompagnare il personale delle scuole soprattutto nei momenti contrassegnati da innovazioni e riforme.

 

Andrea Lupi. Nel metodo “Montessori”, soprattutto alla scuola primaria, è molto sviluppato il laboratorio che consente ai ragazzini di apprendere in maniera costruttiva, esercitandosi su un materiale tattile, chiamato solitamente “hands on material”. Ad esempio si studia biologia con gli incastri piani, – il celebre “tirar fuori” dei puzzle di legno (oggi di plastica) – l’ecosistema, con la sua sequenza: la foresta (ecosistema) l’albero (organismo), la foglia (organo), la parte della foglia specializzata nella traspirazione (tessuto), infine la cellula con le sue parti. Conosco molte persone che si diplomano al Liceo scientifico che non hanno nozione di questa tassonomia proprio perché manca la cultura del laboratorio e del lavoro su degli attrezzi, dei materiali su cui mettere le mani. Per cui l’invito che da montessoriani vogliamo estendere a tutto il sistema, è di mettere un gruppetto di ragazzi attorno ad un tavolo a manipolare per mezz’ora dei materiali, per poi chiedergli di tenere alla fine una conferenza. Il sistema tracolla perché nessun docente può accedere ad una formazione di livello, di qualità continua. Manca in Italia un sistema nazionale che faccia la formazione al personale docente della scuola. In molti paesi i docenti assunti sono obbligati a fare formazione continua. Non è che si può insegnare filosofia solo perché si è saputo al test o al concorso chi era Kant.

Noi, come montessoriani, potremmo garantire al nostro Paese tre fondamentali appigli per poter sviluppare il sistema scolastico:

 1. Proseguire sul cammino dell’autonomia reale. Le scuole con docenti da noi formati sono in grado di fare un’offerta formativa diversa rispetto a quelle delle altre scuole.

 2. Favoriamo così una reale libertà di scelta educativa da parte delle famiglie.

 3. Potremmo dar vita ad un sistema nazionale di formazione docenti se ci fossero le condizioni per cui lo stato riconosca il valore del nostro metodo e permetta di adottarlo, senza porre restrizioni di sorta.

 

Docente: anello mancante tra gli ATA e il dirigente?

Sonia Claris. Non abbiamo affrontato nello stato giuridico la condizione ancora semi-impiegatizia del docente, non siamo ancora dei professionisti. A differenza dei medici che invece sono tenuti ad aggiornarsi.

Giuseppe Meroni Avevamo coniato uno slogan per definire l’incertezza giuridica e normativa del docente: insegnante come anello mancante tra il bidello ed il preside.

Giuseppe Boccioni. Certo che oggi vediamo situazioni a confronto molto diversificate: qualche anno fa nella scuola è stato salutato con soddisfazione il fatto che non era più obbligatorio l’aggiornamento, mentre – all’opposto – nella sanità è stato salutato come positivo il fatto che l’aggiornamento è diventato obbligatorio e tale da condizionare il contratto – la retribuzione – del lavoratore.

Andrea Lupi. In Finlandia hanno rotto con una mentalità impiegatizia. Innanzitutto viene assunto solo il 10 % degli applicanti al ruolo di docente, il ruolo di docente è promosso al livello sociale e le persone che accedono alla professione sono motivate e appassionate. Ai docenti è richiesto di dedicare tempo supplementare agli studenti con esigenze speciali, ma gli viene permesso di definire liberamente il programma e la didattica. Vengono formati in continuazione, forniti di materiali e risorse, ma vengono considerati responsabili della progettazione educativa e della riuscita della classe. Vengono invitati a utilizzare forme collaborative, costruttive, interattive di didattica. In pratica, con una parola, vengono considerati dei manager responsabili di progetto e non dei dipendenti.1

Giuseppe Boccioni. La formazione è obbligatoria da noi quando si diventa di ruolo, ma non si considera che un docente quando è immesso in ruolo in generale ha già un’esperienza lavorativa di diversi anni (in alcuni casi anche più di dieci). Occorrerebbe garantire ai docenti la formazione soprattutto nei primi anni di insegnamento. Ovvio che la formazione di per sé deve accompagnare il docente nel corso di tutta la sua attività lavorativa.

Rossella Verri. E’ indicativo che questo è il primo anno in cui non è stato firmata la contrattazione collettiva nazionale integrativa su questo versante così delicato della formazione.

Giuseppe Meroni. Psicologicamente mi pare giusto rovesciare i termini, le associazioni degli insegnanti hanno a cuore l’apprendimento, perciò intendono mettere questo al centro, identificare gli itinerari che permettono questo apprendimento che si chiama formazione. Noi chiediamo che si possano implementare buone pratiche. Dieci anni fa come DIESSE avevamo dato vita al Forum delle associazioni . Per rimettere in moto una cosa del genere, occorre trovare uno spazio ed una consonanza.

Walter Moro. Quando si parla di qualità della formazione c’è sempre una convergenza. Il punto è secondo me riagganciare la politica per riagganciare il sindacato e incalzarli perché si assumano l’impegno su queste questioni oggi discusse. Ci vuole il protagonismo delle associazioni professionali e una dimensione politica e sindacale per tornare a parlare di questo tema che non è nell’agenda di nessuno.

Noi dovremmo fare una battaglia politico-sindacale sul fatto che la formazione iniziale deve ritornare nelle mani della scuola, degli insegnanti e delle sue rappresentanze, dicendo all’Università che non le compete questo aspetto perché ha dimostrato il fallimento. Non a caso le SSIS sono state abbandonate. Si è costituito il TFA come una fase intermedia, adesso siamo ad un altro passaggio, con la programmazione dei concorsi biennali. E questa è una linfa per avere un contatto diretto, fisico, materiale per formare l’insegnante.

Giuseppe Meroni. L’obiezione fatta a suo tempo, quando ci proponemmo come formatori, erogatori di formazione iniziale era che eravamo bravi, ma come associazioni non si sarebbe riusciti a rispondere a tutto il fabbisogno di formazione, perciò occorreva creare un sistema misto.

Ribadisco allora la necessità di un coordinamento tra le associazioni, che portino queste abbozzate istanze al nuovo Governo. Mi auguro, ma ne sono certo conoscendo la passione di coloro che siedono attorno a questo tavolo, che il dialogo possa continuare, e continua operativamente nell’individuare i punti comuni di lavoro, le preoccupazioni da portare avanti per il bene di tutti.

 

1Sulla Finlandia si veda: Aho, E., Pitkänen, K. and Salhlberg, P. (2006) “Policy Development and Reform Principles of Basic and Secondary Education in Finland since 1968.” Working Paper Series: Education 2. Washington, DC

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