Qual è l’attuale situazione del TFA? E quali le differenze e le somiglianze con la precedente esperienza di SSIS? Il punto di vista di una docente tutor dei tirocinanti di scuola superiore.

Nella mia personale esperienza di lavoro, il periodo  trascorso nelle SSIS come supervisore è stato uno dei più fecondi.  Perché – credo – che non si finisca mai di imparare, tanto più di apprendere un mestiere così particolare com’è quello di insegnare. Non  è per me retorico dire che ho imparato dai miei giovani tirocinanti, ed anche da quelli che ho accolto in classe, perché, comunque, la presenza e la condivisione con un altro docente, dà frutto, in quanto ti stimola  a riguardare il tuo lavoro, a uscire dalle routine, che sono – molto spesso – la bara dell’entusiasmo.



I giovani invece, testimoniano con freschezza l’energia e il desiderio che – peraltro – mi sento ancora addosso, perché posso condividere la mia esperienza con i miei colleghi a scuola e con i miei amici fuori dalla scuola, in un’associazione professionale.

Ora, dopo cinque anni dalla chiusura della SSIS, l’esperienza della formazione iniziale dei docenti riprende con il Tirocinio Formativo Attivo.



Va subito detto che il percorso di quest’anno è stato molto accidentato: non voglio qui enumerare le colpe e i colpevoli. Sta di fatto, che i tirocinanti si trovano a dover terminare un tirocinio in condizioni di estremo disagio, contando su un periodo veramente risicato di tempo.

Al di là dei disagi, in parte dovuti a elementi contingenti, stanno emergendo alcune linee di sviluppo che, a mio avviso, riproducono talora il ‘peggio’ delle vecchie SSIS: in particolare, la riduzione delle ore e dei tempi (la SSIS si svolgeva in due anni, il TFA in uno) hanno inevitabilmente fatto saltare ciò che è stato reputato meno significativo, ed è per questo che in molti atenei non si svolgono più i laboratori, o si tengono in forme poco efficaci.



Inoltre i tirocinanti lamentano ancora la presenza di lezioni teoriche  di taglio decisamente accademico, che non rispondono alle esigenze dei corsisti, i quali non sono più studenti ma neo docenti. Non solo: i corsisti vorrebbero più tempo per svolgere, con la dovuta calma, il tirocinio, che è l’aspetto più apprezzato del percorso del TFA.

Alla luce anche di queste lamentale e desiderata, credo sia necessario ripensare anche all’attuale TFA chiedendosi proprio come dare maggiore rilievo (in termini  di tempo, di valutazione, ecc) al tirocinio. D’altra parte, si impara un lavoro, soltanto vedendo un altro che lo svolge e facendolo con lui. Ecco il senso del tirocinio.

E’ necessario che l’impostazione del corso nasca da una reale condivisione tra università, tutor accoglienti e tutor di scuola, oltre che dal contributo degli stessi tirocinanti. Per questo mi sembra importante riconoscere anche economicamente i tutor di scuola, che si sobbarcano l’onere di prendersi in carico un giovane e di condividere con lui la propria esperienza. Per chi inizia, è vitale avere degli esempi da seguire, qualcuno a cui confidare i propri dubbi, le proprie paure; qualcuno da cui imparare vedendolo in azione. Per questo mi sembra significativo che i tirocinanti possano usufruire di momenti di condivisone tra loro, e di laboratorio, in cui avere la possibilità di metter in comune la loro esperienza. Il bisogno di condividere è importante, in verità anche per chi giovane insegnante non è più;  soprattutto di poter dire anche i propri insuccessi (veri o apparenti), i propri dubbi, le proprie incertezze: tanto più in un mestiere così particolare come l’insegnamento, così tanto fondato sulla capacità di instaurare un dialogo educativo, senza cadere nel ricatto affettivo dei ragazzi. E’ importante poter metter a fuoco  le diverse sfaccettature del fare scuola, che sono veramente numerose, che hanno bisogno di essere guardate in faccia e condivise: come compilare un registro? Come scegliere gli argomenti? Come scegliere un libro di testo? Come valutare? Come rapportarsi con i ragazzi? Come tenere la disciplina? E così via.

Molte università hanno investito sul TFA, e sui tutor; molte altre si sono chiuse a riccio, riproponendo un percorso accademico, in cui, nonostante la decretazione in merito, le scuole non sono state quasi mai coinvolte per costruire il progetto formativo di tirocinio. Eppure numerose sono state le istituzioni scolastiche che si sono rese disponibili, ma – ancora una volta – va segnalato uno iato tra scuola e università, nonostante lodevoli eccezioni, a cui bisogna guardare.

Forse, una via di uscita potrebbe essere la costituzione di un organismo paritetico scuola-università che possa ‘governare’ il sistema di formazione iniziale, in cui si potrebbe pensare ad un ruolo anche per le associazioni professionali che svolgono già un’azione di cerniera tra scuola e accademia, essendo un anello di congiunzione tra l’esperienza viva della scuola e la riflessione teorica sull’esperienza.

Varrebbe proprio la pena di immaginarsi un nuovo organismo, che superi i limiti delle vecchie SSIS e  costruisca un percorso veramente di tirocinio attivo! Chiamando in causa i soggetti che possono garantirlo (scuole, tutor, associazioni, tirocinanti). All’università spetterebbe ovviamente la parte di teoria, indispensabile per il nuovo docente, ma una teoria in funzione della pratica o meglio una teoria capace di illuminare la pratica.

La formazione dei giovani docenti è una priorità assoluta, e ricadere negli stessi errori della vecchia SSIS sarebbe oggi un errore imperdonabile.

(R.M.S.)

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