A conclusione di questo ricco numero di Libertà di Educazione sulla formazione, aperto a marzo 2013, proponiamo il documento elaborato da tre associazioni: Il Rischio Educativo, Diesse e CDO Opere Educative, in vista di un gesto eccezionale che, il 12 ottobre prossimi, vedrà mobilitati migliaia di docenti. La manifestazione si svilupperà operativamente su due sedi, Milano e Bologna, collegate via web, mettendo insieme il tradizionale convegno all’Università Cattolica di Milano, proposto dall’Associazione Culturale Il Rischio Educativo, l’annuale Convention Scuola di Diesse che si tiene a Bologna e il Convegno di inizio anno di CdO Opere Educative. Si tratta di un momento di incontro e di lavoro, a cui interverranno relatori provenienti dall’Italia e dall’estero; un’occasione per imparare insieme a “fare scuola” e documentare l’azione critica e creativa di “insegnanti e scuole che stanno sviluppando una nuova e efficace modalità di insegnamento e di gestione della scuola, nell’ambito delle istituzioni sia statali che paritarie”.



1. La nuova figura professionale dell’insegnante e la scuola di domani

Nell’attuale situazione sociale e culturale dell’Europa, segnata da una crisi profonda e da mancanza di prospettive sicure, la questione educativa appare centrale e rilevante. Più di quanto sia stato nel passato, essa richiede un deciso miglioramento del sistema scolastico complessivo e obbliga a porre al centro, e senza attendere ulteriormente, la marcata professionalità della figura dell’insegnante. I rilevanti problemi che investono oggi la scuola e gli insegnanti ci coinvolgono nella formulazione di un chiaro giudizio sulle prospettive del sistema educativo e di una proposta valida per i docenti di oggi e di domani, per contribuire a operare, con aperto spirito di collaborazione, una svolta per la scuola italiana.



In tal senso, è necessario, anzitutto, ascoltare e sostenere quegli insegnanti e quelle scuole che hanno già sviluppato una nuova e efficace modalità di insegnamento e di gestione della scuola, nell’ambito delle istituzioni sia statali che paritarie. Quando la scuola progetta con consapevolezza il proprio futuro e gli insegnanti scoprono la risorsa della loro professione, nascono molteplici esempi nuovi di un bene comune, autentica risposta all’emergenza educativa che paralizza la società.

Riteniamo compito indispensabile, anche istituzionale, prendere attentamente in considerazione e promuovere ogni soggetto educativo che, nella scuola, persegua la motivazione originaria della propria vocazione di insegnante e la costruzione di nuove intraprese educative, culturalmente, didatticamente e anche materialmente.



Per queste ragioni, è fondamentale verificare continuamente le caratteristiche, l’immagine, le ragioni e le problematiche di tale soggetto originale, per definire un giudizio, un modello e una prospettiva. A tal fine, una nuova scuola e un nuovo insegnante devono confrontarsi con i modelli e i contesti che ne favoriscono lo sviluppo, limitandone gli errori e riproponendo continuamente un’immagine virtuosa di docente e di scuola, anche quando si tende a dimenticarla. In tal modo si riprende sempre lo scopo educativo della propria azione, trasformando il disagio in opportunità.

Autonomia delle scuole e libertà educativa

Autonomia, pluralismo educativo, professionalità docente, libertà educativa sono aspetti decisivi di un cambiamento dei fattori scolastici e possono aiutare a rimettere al centro la questione educativa; infatti, un certo modello di insegnante e di scuola, che di per sé non garantisce l’educazione, può tuttavia permettere o meno l’espressione di un soggetto che agisce.

L’insegnante, che spesso comincia la propria attività con notevole entusiasmo, dev’essere aiutato a permanere in tale caratteristica, anzi a svilupparla in senso professionale e pubblico. La sua capacità di educare, vale a dire di introdurre un giovane alla conoscenza e alla universalità sensata del reale, è espressione di una formazione e un confronto permanente, e si sviluppa dentro le attività, le discipline e nella lezione, senza dualismi tra valori e contenuti. Un’attenzione alla dinamica educativa e al soggetto che la esprime, deve, poi, essere il cuore anche dell’organizzazione di una scuola, sino alla creazione di politiche scolastiche.

2. Il contesto sociale e culturale dell’insegnante e della scuola

Pluralismo culturale e istituzionale

Il rinnovamento della scuola italiana passa necessariamente dalla valorizzazione delle tradizioni e delle soggettività culturali del nostro paese. Purtroppo, negli anni recenti – e in netta contraddizione con le promesse “liberali” del governo – si è assistito ad una forte ripresa della centralizzazione ministeriale, che, sotto la bandiera della razionalizzazione e grazie ad un impiego massiccio delle nuove tecnologie, ha mortificato le esperienze scolastiche, circoscrivendo la loro autonomia e derubricandone l’attuazione, nelle tre classiche direzioni “gestionale”, “didattica” e “amministrativa”.

La via dell’autonomia – che si prestava ad una moderna gestione del sistema scolastico varato con la legge Berlinguer e ad una equa e condivisibile soluzione del problema della “parità scolastica” – è stata interrotta e decisamente riposta in soffitta dai provvedimenti presi per fronteggiare la crisi economica.

Tuttavia, il pluralismo è l’anima della scuola, perché consente di superare l’uniformità nozionistica, l’opinione omologante, e contrasta il disinteresse che è figlio della ripetitività acritica e meccanica.

Il pluralismo è, in tale senso, questione eminentemente e principalmente culturale, che riguarda i contenuti e i metodi dell’insegnamento e dell’apprendimento, le visioni complessive dell’educazione, le strutture e gli strumenti atti a metterle in pratica. Il vero pluralismo non è caratterizzato dalla contrapposizione, ma dal confronto delle posizioni, dalla capacità e intensità del dialogo, dalla ricerca continua della verifica delle idee e delle interpretazioni.

Esso è pluralismo nella scuola e delle scuole, che, esercitando la loro autonomia, possono mettere in campo ipotesi educative e formative qualificate e rispondenti ai bisogni degli alunni e delle loro famiglie.

Le risorse a disposizione delle famiglie per l’educazione dei figli

I costi dell’istruzione, sia per lo Stato sia per i singoli cittadini, sono variabile indipendente, e non come ora dipendente, dagli altri capitoli di spesa pubblica. Investire in educazione e in istruzione è una scelta, non un atto burocratico o un calcolo economico.

Anzitutto occorre aumentare, nel bilancio dello Stato, le risorse economiche messe a disposizione dell’istruzione, se si vuole che il nostro paese, nei prossimi lustri, non sconti un deficit di formazione che produrrà effetti negativi sulla vita produttiva e sociale nel suo complesso.

In secondo luogo, bisogna avere il coraggio di affrontare e risolvere il problema dell’autonomia scolastica, intesa non come favore a una categoria di scuole, ma come ridefinizione degli assetti istituzionali delle scuole stesse, che, da enti periferici del ministero dell’istruzione, debbono diventare soggetti autonomi per la formazione dei giovani.

Le proposte avanzate negli scorsi anni per il finanziamento delle scuole e l’aiuto alle famiglie vanno perciò riprese in mano, ricomposte e ripresentate, in un’ottica di sostegno all’istruzione dei giovani e alle famiglie, e di valorizzazione e attuazione della libertà di educazione.

 

La scuola paritaria

I dati che giungono ormai ogni giorno sulla situazione della scuola libera in Italia sono allarmanti e inquietanti. Fonti attendibili parlano della chiusura, ogni giorno, di almeno una scuola non statale. Tali scuole si collocano in gran parte nel settore della scuola dell’infanzia, che, come è noto, rappresenta la parte preponderante della scuola paritaria, e specificamente cattolica, in Italia. Negli altri settori si registra invece una sostanziale stabilità nelle scuole primarie, con qualche elemento problematico per il numero di alunni per classe, mentre vi sono leggeri segni di incremento per le scuole secondarie di primo e secondo grado e per il settore della Formazione Professionale.

Un elemento di rilievo è inoltre costituito dal rapporto fra “scuole” e numero degli alunni, e di conseguenza dal rapporto fra istituzioni paritarie e statali, da una parte, e rapporto fra alunni dei due settori. La scuola paritaria, infatti, presenta un numero di classi, e di sezioni, molto inferiore a quello della scuola statale, ove una singola scuola – soprattutto a livello della secondaria superiore – può raggiungere un elevato numero di sezioni, almeno nei primi due anni, e dunque un alto numero di alunni. Può così accadere che in alcune città, come ad esempio Milano, il numero di licei paritari e di licei statali sia pressoché uguale, mentre il numero degli studenti che frequentano la scuola statale sia di gran lunga maggiore a quelli della paritaria. L’alto tasso di abbandoni, che si registra nella scuola statale – mentre nelle scuole paritarie è quasi del tutto assente – non controbilancia la sproporzione, sebbene sia un fenomeno da tenere sotto stretta osservazione.

Un ulteriore elemento da analizzare è quello della tipologia delle scuole paritarie, cui si connette il duplice fenomeno degli ultimi decenni della chiusura di scuole “storiche”, legate a ordini religiosi, e dell’aperture di nuove scuole, ad opera di fondazioni o associazioni di genitori e di insegnanti.

Il panorama si presenta pertanto dinamico e complesso, tra l’altro difficilmente interpretabile secondo schemi di antichi modelli, quali le scuole “dei ricchi” o “dei preti” contrapposte alle scuole laiche dello stato.

In questo quadro la stessa nozione di scuola pubblica è destinata ad essere rivista, sia in base alla situazione reale che si è creata nel nostro paese, sia in riferimento alla legislazione italiana, che definisce il sistema di istruzione e formazione con apposita legge (legge 62/2000, che definisce il sistema nazionale di istruzione ed esplicitamente riconosce il servizio pubblico della scuola paritaria), sia in considerazione degli standard europei, che assegnano la denominazione di “scuola privata” solo alle istituzioni che non riconoscono alcun riferimento alla legislazione scolastica del proprio paese, mentre annoverano nella “scuola pubblica” sia le istituzioni gestite direttamente dallo Stato sia quelle gestite da soggetti autonomi, che però accettino di operare nel quadro di norme stabilite e valide per tutti.1

 

Il cambiamento nel lessico scolastico e civile

Un necessario cambiamento si impone a partire dal linguaggio. Esponenti politici della sinistra italiana sono ossessivamente nostalgici di espressioni quali “difesa della scuola pubblica” o “valore della scuola pubblica”, intendendo con tali termini la sola scuola statale. In effetti si deve ad un autorevole e rappresentativo esponente della sinistra, Luigi Berlinguer, il merito di aver, per primo, e finora unico, ammesso la scuola non statale nell’ambito della scuola pubblica, ovvero del sistema scolastico italiano. Proprio durante il suo dicastero è stata varata la già citata legge 62/2000, contenente articoli e norme sulla parità scolastica.

In base a tali leggi, diviene privo di senso parlare di scuola pubblica – sebbene il termine sia stato accuratamente evitato in tali testi legislativi – estromettendo la scuola paritaria. Il sistema formativo, infatti, si compone di entrambi i tipi di istituzioni – e delle scuole gestite dagli enti locali, soprattutto per quanto riguarda la scuola dell’infanzia -, perlomeno dal punto di vista giuridico e normativo, giacché l’aspetto economico è stato volutamente accantonato e, a tutt’oggi, non è ancora stato risolto, malgrado insistenti e autorevoli richiami a muoversi in questa direzione.

Tuttavia, è legittimo e appropriato dire che l’espressione “scuola pubblica” non può essere ormai utilizzata solo per istituzioni direttamente gestite dallo Stato, ma deve estendersi ad ogni istituzione scolastica che abbia lo Stato come “garante” – attraverso l’emanazione di norme e disposizioni – e svolga un effettivo servizio in funzione della collettività e per il bene comune.

Risulta pertanto forzatamente fazioso e assolutamente scorretto continuare a parlare di “scuola pubblica” e di “scuola privata” – includendo in quest’ultima categoria la scuola non statale e, in particolare, la scuola cattolica o di ispirazione cristiana -, mentre sono ormai maturi i tempi affinché una decisa chiarificazione lessicale e semantica assegni al termine “scuola pubblica” il compito di designare sia la scuola dello Stato sia quella paritaria, mentre si lasci al termine “scuola privata” la funzione di denotare quelle istituzioni che agiscono al di fuori di ogni riferimento legislativo comune.

Il docente protagonista

La situazione attuale del quadro normativo e istituzionale, nel quale si sono indeboliti i richiami di tipo prescrittivo (programmi) e rafforzate le dinamiche di progettazione dei percorsi di insegnamento cui presiedono fasi di valutazione esterna dei risultati dell’apprendimento (Ocse; Invalsi, ecc.), possono costituire una buona opportunità per il ripensamento generale delle competenze del docente.

Se sul piano giuridico e nella considerazione pubblica l’insegnante ha in parte smarrito la credibilità di un tempo, complici una serie di fattori, tra cui l’abbassamento della scuola ad ammortizzatore sociale, nella realtà dei fatti alla sua disponibilità si chiede oggi molto, cioè di rispondere ad una molteplicità di sfide educative poste dai bisogni degli alunni e dalle urgenze della scuola, nelle sue strutturazioni interne e nei suoi rapporti con il territorio.

Occorre anche precisare, in questa prospettiva, che non esiste un’unica figura di insegnante, dato che i suoi compiti di docente in qualche modo artefice del proprio percorso professionale, si articolano in una varietà di stili e di modulazioni che vanno ben al di là dei livelli e delle classi di concorso nelle quali sono inquadrati taluni suoi obblighi.

Non si può pensare, infatti, per le urgenze proprie del compito educativo, che l’insegnante possa rispondere allo stesso modo alle domande di alunni che per età, situazione sociale, retroterra culturale hanno basi di partenza molto diverse, pur appartenendo magari alla stessa classe o al medesimo territorio: alunni che tuttavia saranno da portare ai massimi gradi possibili di promozione delle loro competenze e capacità, mediante itinerari di comprensione della realtà affascinanti e coinvolgenti.

Nella situazione attuale la figura del docente è ingabbiata dentro una funzione, cioè un ruolo definito dalle attività che gli competono, pur legittimamente, e non invece definita dal potenziale di competenza, creatività e responsabilità che può sprigionare.

Il patto implicito che sembra dominare nella scuola statale, al livello della contrattazione dei diritti e dei doveri del docente, implica un basso livello di qualificazione e di riconoscimento economico, in cambio dell’assenza di qualunque forma di valutazione interna o esterna dei risultati.

Quanto al sistema paritario, difficilmente la mentalità dominante ne riconosce la convenienza proprio nei termini dell’affermazione di un modello di insegnante che è fautore e partecipe del progetto educativo della scuola alla quale appartiene.

Se lo scopo che anima l’insegnante è l’educazione e la formazione degli alunni, occorre dare corpo e piena legittimazione a percorsi nei quali la vocazione all’insegnamento possa maturare nel confronto libero e graduale, ma costante, con i fattori decisivi della sua azione. Ne sono parte integrante: il rinnovamento continuo delle ragioni culturali della sua iniziativa, la personalizzazione della proposta didattica, il ripensamento delle basi collegiali e organizzative della scuola, la cura del proprio profilo giuridico, i rapporti con le realtà del contesto che possono collaborare alle finalità della scuola.

L’itinerario che andiamo configurando, se da una parte può apparire implicito alla scelta di una prospettiva lavorativa unica nel suo genere, dall’altra può richiedere un ampliamento delle condizioni di tempo e di spazio in cui essa avviene, tali da costituire il frutto pubblicamente rilevante di una scelta maturata al cospetto delle aspettative degli alunni e delle loro famiglie.

Il docente professionista, in altri termini, non è semplicemente identificabile in una serie standardizzata di mansioni, cui possono dare corso eventualmente nuovi obblighi contrattuali, bensì nelle implicazioni di ordine culturale, normativo e gestionale con cui intende promuovere e verificare l’ipotesi sulla quale ha costruito la sua storia lavorativa. Queste implicazioni dovranno trovare una forma oggettiva (giuridica) per potere essere espresse, dovranno far parte del portfolio con cui il docente opera nell’istituzione e dovranno essere sottoposte a criteri di accertamento della loro validità.

 

3. Questioni e temi da approfondire

• Fattori che aiutano la nascita di una nuova scuola e di un nuovo insegnante, come bene per tutti: un’ipotesi per educare, le ragioni di un metodo, un interesse intenso della ricerca, l’apertura a tutto, il rischio educativo.

• La scuola nella società attuale: valenza educativa, funzione sociale e culturale, ruolo specifico nel contesto dell’informazione e della comunicazione di massa.

• Le istituzioni e la scuola: la promozione dell’autonomia scolastica, del pluralismo educativo, della professionalità docente, della libertà educativa.

• Figura e ruolo dell’insegnante: la motivazione a insegnare, la formazione iniziale e in servizio, il compito educativo e didattico, lo stato giuridico e l’adeguamento salariale.

• La scuola pubblica: sistema scolastico italiano, scuola statale e paritaria, il finanziamento della scuola, il ruolo delle Regioni, qualità e valutazione.

 

Nel febbraio 2012 è stata inaugurata nel quartiere Kireka di Kampala, in Uganda, la”LuigiGiussani High School”. Afferma Rose Busingye, una delle responsabili della nuova scuola: “Il progetto della Luigi Giussani High School nasce perché desideravamo che anche i bambini, come gli adulti, capissero il valore reale che hanno. La nostra intenzione era quindi quella di vedere se la nostra esperienza poteva educare; così abbiamo voluto che [quanto era nato] dalle loro mamme, che hanno scoperto il valore della loro vita, continuasse anche nei ragazzi. Le mamme hanno partecipato e lo stanno facendo ancora adesso attivamente, aiutandoci anche in faticosi lavori manuali. La nostra intenzione era proprio quella di creare questo luogo meraviglioso di compagnia e appartenenza affinché questi ragazzi possano scoprire loro stessi. Non sappiamo come andrà in futuro, ma il fatto che anche solo un ragazzo riesca a scoprire il valore che ha, per noi è un grande successo”. (tratto da IL FATTO/ Rose (Meeting Point): ecco l’ultimo “fiore” nato da don Giussani)

 

NOTA
1. Un’analisi aggiornata della scuola paritaria e cattolica in Italia si trova in Educare alla vita buona del Vangelo nella scuola e nella FP. Scuola cattolica in Italia. Quattordicesimo rapporto, 2012, a cura del Centro studi per la scuola cattolica, Editrice La scuola, Brescia 2012, Appendice, pp. 179-247.

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