Proponiamo la seconda parte dell’intervista al prof. Felice Crema dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano sulla formazione e sull’identità del docente.

a cura di Tommaso Lanosa  

La formazione data dal TFA ha una forte impronta pedagogico – didattica; come consiglia di accostarsi a queste discipline?



Chi insegna muove inevitabilmente da una teoria, implicita o esplicitata, perché solo in questo modo gli è possibile mettere ordine nei temi che propone ed evidenzia: nel nostro caso della didattica e della pedagogia, che, detto tra parentesi, sono discipline, sia sotto il profilo dell’oggetto che sotto quello del metodo, tra loro nettamente distinte anche se ovviamente in dialogo continuo.



Il problema quindi non è se si parte da una teoria ‘generale’ ma come questo avviene. In sintesi: sugli esiti formativi non incide tanto la particolare teoria pedagogica cui si fa riferimento quanto il modo con cui viene assunta come punto di partenza e con cui viene, volta a volta, resa presente lungo il percorso formativo.

Una prima attenzione va rivolta a rimanere fedeli allo statuto disciplinare: se pedagogica, infatti, ogni teoria ha di fronte a sé il tema della crescita dell’allievo come uomo; se didattica, il tema delle condizioni migliori per favorire l’apprendimento.

Una seconda attenzione è ricordare sempre che ogni teoria, per quanto complessa, non è mai in grado di restituire compiutamente la realtà cui intende far riferimento; i fattori che risulteranno messi al margine o esclusi da quella determinata teoria rappresentano perciò un primo e decisivo punto di ingresso critico alla teoria, ed anche per questo non possono mai essere ignorati. Diversamente due sono i rischi: un uso ideologico della teoria, che da strumento ermeneutico diventa griglia di una gabbia che tenta di rinchiudere la realtà, e, parallelamente, la ‘mummificazione’ della teoria che interrompe il suo dialogo con l’esperienza, via dell’educazione. Per questo è importante avere presente – accanto alla propria teoria di riferimento – anche altre teorie, in un rapporto critico tra loro.



Quanto detto vale solo per l’insegnamento che prepara all’insegnamento, o anche per quello che si proporrà ai propri allievi?

In linea di principio sì. A condizione che si allarghi il contenuto che mettiamo in gioco con la parola ‘teoria’. Mentre nell’insegnamento superiore e, almeno in parte, negli ultimi anni dell’insegnamento secondario, possiamo assumere, anche se solo analogicamente, il termine teoria in quegli insegnamenti disciplinari che, per la loro natura e per il peso ‘quantitativo’, hanno una collocazione centrale nel percorso scolastico, per la scuola di base e per tutti gli altri insegnamenti il riferimento più appropriato potrebbe essere descritto dalla parola ‘ipotesi’.

Questo termine ha, tra gli altri, il vantaggio di permettere un coerente svolgimento dell’insegnamento proposto nelle due diverse direzioni: quella ‘educativa’, che porta l’attenzione sull’esperienza dell’allievo; quella ‘didattica’, che porta l’attenzione sull’oggetto della conoscenza.

Il punto di partenza dell’insegnamento è sempre, inevitabilmente, un oggetto definito, preso in considerazione in una prospettiva particolare che permette di far emergere aspetti specifici in grado di dare ragione della scelta compiuta nell’identificarlo, tra le infinite altre possibilità, come meritevole di essere insegnato, cioè meritevole di essere appreso. Il passo successivo, che non viene necessariamente compiuto in una sequenza temporale ristretta e che anzi è in grado di dare i suoi più importanti risultati in termini di conoscenza quando avviene a una distanza di tempo significativa, permetterà di far emergere nodi problematici e interrogativi che troveranno risposta solo in una ulteriore prosecuzione del percorso iniziato e sperimentato dall’allievo.

Il punto di partenza posto, che potrà poi essere criticato e superato, deve quindi essere costituito da dati in quantità sufficiente a permettere uno svolgimento critico (senza i dati le ipotesi sono solo chiacchiere!) svolgimento che, molto spesso, non sarà fatto da noi ma che l’allievo affronterà a distanza di anni. Per questo è sempre necessario che l’insegnante resista alla tentazione della ‘completezza’, che si traduce in un enciclopedismo opprimente perché inevitabilmente confuso, una foresta di ‘conoscenze’ che non permette di scorgere e identificare i riferimenti senza i quali non si può riconoscere un percorso (qualunque percorso!) ma solo aggirarsi dapprima ansiosamente e poi con indifferenza, senza più speranza in un (possibile) significato. E su questo punto l’impostazione data ormai da troppo tempo ai libri di testo dall’editoria scolastica ha grandi responsabilità.

Permettere di riconoscere un possibile percorso lungo il quale camminare assieme è il primo appuntamento. Ad esso dovrà seguire un effettivo e consapevole cammino lungo il quale lo studente sarà chiamato a identificare un propria ipotesi di riferimento a partire da un paragone continuo e, in qualche misura, sistematico tra la proposta incontrata e i dati di realtà di cui dispone e che esperienza extrascolastica ed insegnamento scolastico progressivamente incrementano. Per questo è importante che l’insegnante accetti di misurare quello che insegna ascoltando la propria esperienza di uomo e di studente, prima ancora che di insegnante.

In sintesi, ciò che deve fare l’insegnante – si tratti dell’insegnamento di una teoria pedagogica o di ogni altra disciplina – è individuare e proporre un punto di partenza (dati ordinati da una ipotesi) in grado, nel tempo, di rendere riconoscibile e praticabile un ‘territorio’ sempre più ampio.

Solo così si acquista la conoscenza. Il modo con cui ogni uomo impara a parlare ne è un esempio molto chiaro. Per imparare a parlare devo sempre misurarmi con una lingua specifica, che rappresenta l’ipotesi, un sistema coerente e complesso che è dato: devo parlarla, usarla così com’è e poi, nel tempo, potrò conoscerla e anche contribuire a modificarla.

Perché quando questo avviene in un qualunque altro ambito viene bollato come un ‘condizionamento’ lesivo dell’autonomia del soggetto? Non sarebbe più coerente con l’esperienza riconoscerlo come una ‘condizione’ necessaria per muovere verso una più compiuta e consapevole autonomia? In ogni ambito infatti, e non solo nell’apprendimento, prendere seriamente in considerazione un particolare è la condizione a partire dalla quale è possibile aprirsi a(l) tutto.

 

Quale ruolo allora per l’allievo di fronte al punto di partenza proposto dall’insegnante?

L’allievo deve accogliere il dato che gli viene proposto e accettare di apprenderlo. In questo decisivo è l’aiuto a capire che il passo proposto è solo la prima parte, meglio, l’introduzione al ‘vero’ apprendimento; consapevolezza questa che non può mai essere data per scontata e che perciò va sempre rinnovata.

L’insegnante deve saper sostenere e rendere più maturo e consapevole nell’allievo quello che, a partire dalla prima infanzia, si presenta come un atteggiamento ‘spontaneo’: prendere sul serio la proposta dell’adulto (che significa farla propria, impararla) e farla, nel tempo e con le modalità adeguate all’età e al contenuto dell’insegnamento, oggetto di una verifica ‘sistematica’ e ‘critica’. Pensare che ciò sia possibile solo in un mondo di ‘teorie’ è evidentemente errato, perché ‘non reale’, cioè non attingibile direttamente ma solo mediatamente. Acquisire una teoria e verificarla è solo una delle tante possibilità di conoscere e non è mai punto di partenza ma solo punto di arrivo di un percorso, se ben orientato e ben condotto. Per questo i passi di una corretta modalità di apprendimento si propongono nel loro insieme come un metodo di insegnamento che lascia spazio ad una forma di verifica che dà spazio adeguato al confronto tra ciò che si impara, il dato di realtà, la propria autocoscienza.

Ritornando all’ambito da cui siamo partiti – il ruolo che può avere una teoria pedagogica nella preparazione professionale dell’insegnante – occorre mantenere fermo che un modello pedagogico esprime sempre e prima di tutto un’antropologia. Questo aspetto deve avere un posto adeguato nel percorso che si chiede all’allievo di compiere, perché tra il dato e la teoria sta non l’opinione del momento, ma la propria autocoscienza, continuamente rivisitata, nell’esperienza, dall’io che incontra la realtà alla scoperta del suo senso.

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