Si può parlare ragionevolmente di lavoro alla scuola media?

“Certo che no”, ci sembra di sentir rispondere, all’apparenza infatti non c’è alcuna correlazione tra queste due realtà.

I ragazzi che frequentano la scuola media sono lontani dall’età richiesta per accedere a qualsiasi lavoro e non è certo auspicabile il ritorno ai tempi in cui gli adolescenti o addirittura i bambini erano impegnati, per meglio dire sfruttati, in pericolose occupazioni.



La realtà dipinta da Dickens in molte delle sue pagine resta un momento triste della storia, anche se non ancora superato a tutte le latitudini.

Ma che cos’è il lavoro, quali sono le sue caratteristiche?

Forse il nostro mondo è prigioniero di una concezione del lavoro inteso come un’occupazione prevalentemente pratica, che comporta fatica e sudore e che dunque può riguardare gli esseri umani solo a partire da una certa età.



Il lavoro in realtà è una dimensione connaturale all’uomo, la manifestazione della sua supremazia sul creato.

Dio stesso è il Creatore del mondo, e la creazione non è ancora finita. Dio lavora, ergazetai. Così il lavorare degli uomini doveva apparire come un’espressione particolare della loro somiglianza con Dio e l’uomo, in questo modo, ha facoltà e può partecipare all’operare di Dio nella creazione del mondo.1

 

Lo studio come lavoro

Anche lo studente di scuola media allora lavora, innanzitutto nel momento in cui consapevolmente apprende un metodo di studio, obiettivo fondamentale di questo segmento di scuola.



Quando il docente insegna a studiare, introduce al lavoro sulla pagina scritta, facendo ricercare informazioni e contenuti, è un lavoro che implica tappe precise, operazioni particolari, che vanno esplicitate.

Studiare è un lavoro, perché richiede tempo, motivazione, volontà di coinvolgersi, esercizio di razionalità.

Lo studio come lavoro intellettuale, capacità di domandare e di interrogarsi fa uscire dalla mentalità autoreferenziale di cui spesso soffre la scuola, perché interpella l’io, la sua dignità come essere pensante e capace di trasformare la realtà.

Studiare non è stipare la testa di nozioni e procedure, quanto procedere per compiti complessi, arrivando per esempio alla realizzazione di un “capolavoro” in vista del quale occorre fare ipotesi, progettare, rivedere, farsi consigliare dal docente, cooperare con i compagni.

Quando la scuola invece continua ad essere concepita come spiegazione – assegnazione di esercizi, verifica – resta al più una palestra, ma non un luogo di lavoro.

La pratica del laboratorio

Alla scuola media si introduce al lavoro, anche attraverso una corretta pratica del laboratorio, intesa non come semplice esercizio di abilità pratiche, quanto come lavoro che implica la realizzazione di un prodotto finale da presentare a terzi. Non c’è allora distinzione tra lavoro delle mani e ricerca intellettuale, perché anche il ricercatore di matematica pura arriva alla elaborazione di una teoria da presentare ad altri.

Il laboratorio costituisce inoltre una preziosa occasione per personalizzare l’apprendimento e per far scoprire particolari “vocazioni”. L’organizzazione della scuola media autonoma dovrebbe prevedere momenti in cui superare il gruppo classe tradizionale per aprirsi a gruppi di elezione, anche in chiave orientativa.

Non si tratta ancora ovviamente di scegliere il lavoro futuro, ma di iniziare a scoprire le proprie attitudini in modo reale, mettendosi alla prova, interagendo con la realtà, questa è la strada per imparare a conoscersi, oltre le proiezioni e le pretese degli adulti e i deliri di onnipotenza o la scarsa autostima degli adolescenti.

La responsabilità degli insegnanti

Una scuola che educa al lavoro non si improvvisa, non è il frutto di una ineccepibile organizzazione astratta, ha bisogno di assunzione di responsabilità da parte degli insegnanti.

Nella scuola media statale in cui insegno da diversi anni esiste la figura del tutor: un insegnante del Consiglio di Classe, che accompagna l’allievo nella riflessione sulla sua esperienza scolastica, sostenendolo nell’acquisizione di un metodo di studio e nella personalizzazione dell’apprendimento.

Il tutor incontra periodicamente gli studenti, per riflettere sul cammino di apprendimento, educare allo studio, portare alla luce attitudini e predilezioni anche in vista dell’orientamento.

Il tutor è inoltre figura di riferimento per le famiglie, che presentano all’inizio della prima media il cammino dei loro figli alla scuola primaria e ogni altra informazione che ritengano valida per una fattiva collaborazione educativa.

In terza poi il tutor incontra i genitori per cercare di condividere insieme la scelta dell’indirizzo di studi successivo,ovviamente prima della formulazione scritta del consiglio orientativo.

Si tratta di un percorso molto apprezzato dai genitori, che da sempre identificano in questa attività di tutoraggio uno degli elementi più qualificanti del POF d’istituto.

Il lavoro è un’esperienza profondamente umana, che interessa anche i più giovani e che non è estranea a quelle aule scolastiche dove i giovani della scuola media imparano a studiare, a vivere una laboratorialità intraprendente e collaborativa e a scoprire le proprie vocazioni.

 

 

NOTE

1 Benedetto XVI, Incontro con il mondo della cultura al College des Bernardins, in www.vatican.va.