Quasi un giovane su due è disoccupato mentre 65 mila posti di lavoro restano scoperti; un paradosso tutto italiano. Apprendistato e formazione professionale sarebbero la risposta, ma sono ancora visti come il “parcheggio per zucconi e fannulloni”.


Scuola e mondo del lavoro in Italia sembrano comportarsi come due rette parallele, senza punti in comune. Le criticità nel loro rapporto si riassumono in pochi dati.



1) La disoccupazione giovanile, che nel 2007 si attestava su un già preoccupante 20%, nel primo semestre 2013 ha raggiunto il 39,1% (vedere i dati Istat oppure gli articoli pubblicati da TM News, da IBTimes Italia, oppure l’employment outlook 2012 dell’Ocse

2) Contemporaneamente, secondo una ricerca svolta da Unioncamere, circa 65.000 posti di lavoro attualmente disponibili non vengono coperti perché le imprese non trovano le figure professionali adatte; erano oltre 100 mila nel 2011, poi la crisi ha smorzato anche la domanda di forza lavoro.



3) L’abbandono scolastico, attualmente, si aggira sul 18% (si possono ricercare dati sul sito del M.I.U.R.)

4) I cosiddetti “NEET”, i giovani che non studiano né lavorano, né cercano attivamente un lavoro, sono il 37% nella fascia d’età compresa fra i 15 e i 19 anni (vedere i dati CNEL). Il piatto indigesto del disorientamento giovanile in Italia è così servito. Da decenni si ripete il ritornello: la scuola non dà una preparazione adeguata alle esigenze del mondo del lavoro, dal quale vive troppo distaccata. Da anni risuonano le critiche all’eccessiva licealizzazione della secondaria superiore, che penalizza l’istruzione tecnica e professionale e, soprattutto, emargina la formazione professionale e l’apprendistato formativo. Quando, però, emerge qualche timido tentativo di cambiare rotta si alza puntuale la tempesta delle contestazioni alla presunta “svendita della scuola pubblica al capitale privato” o al presunto “ritorno alla scuola di serie A per i figli di dottori e avvocati e scuola di serie B per i figli degli operai”; intanto, la formazione professionale nell’immaginario comune continua ad essere vista come un ripiego per studenti svogliati o poco dotati. 



Scriveva Giuseppe Bertagna su ilSussidiario.net del 14 giugno scorso che “È dal 2003 (leggi Biagi e Moratti) che quest’ipotesi formativa (l’apprendistato formativo, n.d.r.) è sul campo (…) come leva strategica per: a) combattere la dispersione scolastica; b) valorizzare l’intelligenza delle mani; (…) f) far comprendere agli imprenditori che è loro stesso interesse investire su ciò che in economia si chiama capitale umano (…)”. Ma: “È dal 2003 (…) che questa ipotesi (…) è, nel nostro Paese, a volta a volta osteggiata. attenuata, sospettata di nascondere inconfessabili nefandezze, ritenuta velleitaria. filistea, inaffidabile, dimostrazione della «privatizzazione» di risorse pubbliche, impraticabile”.

In quell’articolo Bertagna, coordinatore a suo tempo del gruppo di lavoro che preparò la riforma Moratti, accusa anche l’attuale Ministro Carrozza di non occuparsi dei problemi dell’apprendistato formativo, né di quelli, analoghi, dell’istruzione e formazione professionale delle Regioni. Introdotta dalla riforma della Costituzione del 2001 e istituita con la legge Moratti del 2003, doveva essere “Un sistema – dice ancora Bertagna – che avrebbe dovuto aborrire come massimo pericolo (…) ogni contaminazione con il tradizionale modello scolasticistico (…) centrarsi sulla sistematica alternanza formativa tra scuola e lavoro (…) non ragionare più per ore, discipline e docenti separati, ma per unità di apprendimento, per compiti unitari in situazione, per capolavori professionali, per competenze, per tutor o mastri (…) doveva essere articolato (…) in un ordinamento che rendesse possibile, (…) la qualifica professionale a 17 anni, il diploma professionale a 18, i diplomi professionali superiori a 19, 20 o anche 21 anni. E che avrebbe dovuto integrarsi in maniera sistematica e qualitativa con il sistema dell’apprendistato formativo e con il tessuto economico – sociale dei territori”. Invece “la politica ha scelto il contrario: “scolasticizzare” quanto più possibile anche questo sistema, inserirlo nell’istruzione professionale statale(…), diluirlo in essa.” 

Così: “invece di irrobustirlo, lo sta a poco a poco soffocando”. Anche al recente Meeting di Rimini sono stati affrontati questi temi, dedicando loro alcuni incontri in cui sono emerse esperienze altamente positive nel settore della formazione professionale, sia in termini di occupazione dei neo – diplomati che di contenimento dei costi per allievo (“La formazione professionale, una risposta alla disoccupazione giovanile”, giovedì 22 agosto 2013).

Abbiamo provato a sottoporre l’argomento al ministro Maria Chiara Carrozza durante la conferenza stampa seguita al suo intervento a Meeting. Abbiamo sollevato anche il problema delle norme che impongono il diploma di istruzione professionale statale per poter accedere agli Istituti Tecnici Superiori. “Formazione professionale, apprendistato ed alternanza scuola – lavoro sono temi che a noi, come Governo Letta, interessano molto – ha risposto – Io ho dato una delega specifica al Sottosegretario Toccafondi su questa materia, per rafforzare l’idea della sua importanza. Stiamo discutendone con i Ministri Giovannini e Trigilia (rispettivamente, Lavoro e Coesione territoriale, ndr) in un’ottica di osservazione dei modelli di altri Paesi, come la Germania, dove c’è il “sistema duale”, per vedere se riusciamo a pensarne uno che abbia le stesse caratteristiche, che garantisca un’efficacia migliore per l’ingresso nel mondo del lavoro. Abbiamo avviato e siamo alla fine del primo ciclo degli ITS, questi moduli formativi innovativi; faremo una valutazione per vedere quali sono i migliori, esportarne i metodi, rafforzarli, valorizzarli, magari premiando i primi cinque. Dobbiamo avere un’ottica in cui gli ITS, i percorsi che vanno oltre il diploma di Istituto Tecnico di scuola media superiore, si integrino con la Laurea triennale; è un problema un po’ irrisolto. Inoltre, dobbiamo valutare l’importanza del modello ITS anche con l’ingresso di soggetti privati e una maggiore interlocuzione con il mondo del lavoro. Queste esperienze positive devono essere integrate con il mondo accademico che, forse, è un po’ troppo chiuso rispetto a questo.”

Sulla questione specifica della formazione professionale regionale il Ministro ha detto: “E’ un tema delicato per la concorrenza fra Stato e Regione; implica l’interazione con le Regioni e con modelli diversi da Regione a Regione. Abbiamo visto anche in Parlamento che, quando se ne discute, si apre un mondo. Ci siamo ripromessi con il Sottosegretario Toccafondi di riprendere la discussione con le Regioni a settembre. Lo si deve fare con le Regioni, con i Sindacati, con Confindustria e tutte le associazioni di imprese, in modo da avere tutti gli interlocutori al tavolo. È questo che rende la cosa difficile: bisogna fare una sintesi fra posizioni e interessi diversi e fra livelli di governo diversi; Enti Locali, Province, Regioni e Stato”. Un’importante fonte di informazioni su disoccupazione giovanile, “NEET”, formazione professionale e apprendistato è il sito dell’ISFOL, Istituto per lo sviluppo della formazione professionale dei lavoratori, che dedica ampio spazio al tema “La condizione giovanile – attività e inattività dei giovani”.