La cultura non è un soprammobile da esporre, ma parte della propria humanitas nei confronti della realtà. Il liceo oggi come entra in gioco in questo processo? Quanto è vicino ai ragazzi in tutto il viaggio formativo iniziato a 14 anni? In che modo?
Cos’è il lavoro per l’uomo? E’ lo spazio su cui egli poggia parte della sua riconoscibilità, è momento di confronto con sé, è plusvalore umano: è esplicare competenze, sfidare le proprie capacità, realizzare creatività ed ambizioni personali, concretizzare aspirazioni e sogni, costruire un progetto. Almeno questo dovrebbe essere!
E cos’è il lavoro per un liceale di oggi? Come si apre quel mondo ai suoi occhi, quando dal microcosmo protetto e certo della scuola egli si affaccia su un macrocosmo labile, imprevedibile, sul quale è difficile costruire una progettualità che si approssimi a personali competenze, capacità, creatività, ambizioni, sogni…?
I ragazzi del V anno – scoperte in corsa attitudini inclinazioni ed aspirazioni – sono scissi tra desiderio per Università con prospettive lavorative difficilmente spendibili e ipotesi più concrete di investimento di sé. Nei mesi conclusivi di scuola l’ansia spesso diviene decisione rassegnata ed ineluttabile a fine percorso, quando bisogna ormai fare i conti solo con la realtà.
Il liceo oggi come entra in gioco in questo processo? Quanto è vicino ai ragazzi in tutto il viaggio formativo iniziato a 14 anni?
Studioso e/o studente ?
Al sistema lavoro fragile e complesso il liceo risponde cooperando alla costruzione di una personalità pluriprospettica che vi entri non con spirito di sopravvivenza, ma entro una progettualità della persona, sapendo agirvi con protagonismo attraverso le proprie risorse utili. Ciò avviene proprio perché epistemologicamente il liceo forma un habitus mentale, attiva una sensibilità umana entro un legame tra cultura e realtà nella pratica scolastica quotidiana ed eventualmente in stage lavorativi ove il potenziale modus operandi divenga atto.
Oggi, nelle urgenze della produzione, si percepisce il liceo in un’indistinta nebulosa di astrazione e distanza dalla realtà e si sovrappone all’immagine di studente l’idea di studioso. “Stud-ente”: il suffisso –ente riconduce all’ “essere”, fa pensare che nello studio “l’agire” e “lo stato” di chi opera si identifichino; infatti lo studente è colui che applica-tende-realizza anche attraverso ricerche. “Stud-ioso”: il suffisso –oso porta ad un agente còlto solo nell’atto, a volte in un virtuosismo di ricerca non applicata. Nel liceo, studioso e studente si fondono grazie all’attivazione di strumenti cognitivi, operativi, creativi, passando nelle discipline per la via del ragionamento euristico e poggiando su tre pilastri: studium, labor, conscientia. Su di essi lo studente di ora strutturerà l’uomo di domani affrontando il lavoro in qualunque direzione: vie permanenti della persona, portano a flessibilità e convertibilità senza rinunciare all’unicità, alla soddisfazione, alla riconoscibilità di sé, cuore del lavoro.
“Quid est autem dulcius otio litterato? Alludo a quegli studi per mezzo dei quali arriviamo a conoscere l’infinita natura, e il cielo e la terra e i mari, mentre siamo ancora nel mondo”. Scomodiamo Cicerone (Tusculanae disputationes, V 36), i suoi otium-humanae litterae e negotium, per rappresentare dinamiche tra scuola e lavoro, complementari come l’otium e il negotium. L’otium, greco scholè (tempo libero), dalle etimologie tra l’attivismo riposante del mondo pastorale e l’idea della libertà di muoversi senza assedio militare, non è inattività, ma dinamismo e libertà d’agire1. Di contro, il negotium-ascholía (occupazione) è implicazione in un’attività strutturata e definita che circoscrive la libertà. Allora, nella formazione di un uomo che non si senta alienato dal lavoro e che vi si riconosca attraverso ciò che pensa, crea, produce, devono convivere otium e negotium, e la scuola-scholè deve proiettarsi all’investimento della persona nel negotium, intorno ad un centro di intesa, fiducia, stima reciproche2.
Cultura e lavoro
In tale prospettiva, il liceo opera sulla base del legame tra studio – cultura – lavoro. Le etimologie di tali parole hanno il centro semantico nella “tensione per qualcosa”: stud- riconduce all’ “adoperarsi”; cult- (da kwel-“ruotare, girare” dunque “rivoltare la terra, dissodare”) al “coltivare, attendere con cura” ed il suffisso “-ura” del participio futuro a “cose prossime alla coltivazione”, a “fare crescere”; labh- all’ “afferrare” e, in senso figurato, “volgere il desiderio, la volontà, l’intento a qcsa”3. Inoltre le parole intorno allo studio sono accomunate dall’idea dello sguardo o della proiezione a qualcosa con cui si è implicati per contatto, per compresenza, per intenzione, per sentire: “applicazione” e “appassionare” hanno il prefisso ad- “verso”, il primo con la radice greca plek- “piegare” –esito: “apporre un oggetto ad un altro affinché si tocchino”-, il secondo con pat- “soffrire”, nel senso positivo di “curiosità, scoperta” quindi “provare molto interesse”; “cura”, ossia “preoccupazione, sollecitudine”, deriva dalla radice ku– (kau, kav) “osservare, guardare”; “interesse” con il prefisso inter– è come dire “essere fra le cose di alcuno”; “motivazione” contiene mot, ossia “movimento” verso qualcosa: queste parole implicano attivismo, partecipazione operativa4.
Inoltre labor e opera convergono con etimologie ed ambiti del mondo contadino, dove lo sforzo e la fatica sono la conditio sine qua non si ottengono risultati produttivi, alcuna opera; la radice di “cultura” è la stessa di “coltura” e “coltivare”.
Nelle Georgiche di Virgilio, sul lavoro della campagna (I, 118-189), riconosciamo il labor come la fatica accompagnata dalla coscienza della sua indispensabilità, per la quale l’uomo si riconosce artifex: Zeus nella coltivazione stimolò i cuori con i bisogni, perché poi con la riflessione essi forgiassero le diverse arti; labor vicit omnia, anche nelle situazioni difficili. Un ragazzo non si trova forse oggi duris in rebus, nella vita, nel lavoro? Il liceo può cooperare a far sentire quel ragazzo non avulso dalle durae res, non frustrato, non alienato, se lo rende cosciente di star forgiando con il labor le sue artes varias.
E la cultura è il ponte che in un liceo collega studium e labor e li rende interfacciabili. Le idee astratte sono esperite con gli arnesi del problem solving e dello spirito critico, nella bottega del brainstorming e della laborialità, attraverso il coinvolgimento umano e l’appassionamento: lo stud-ente entra nella realtà, con un proprio sguardo sulle cose, con strumenti operativi di lettura e di intervento su questioni, con metodo nel ragionamento, riconosce e distingue il proprio pensiero rispetto a quello altro e con esso opera scelte coerenti.
Ed occorre stimolare in lui la conscientia delle discipline, la metacognizione del loro valore e ruolo e dell’operatività su esse: l’alunno è così sempre al corrente di dove stia andando, perché affronti certi contenuti e con quali metodi; ne percepisce il senso profondo e sente il suo agire ancoràto alla realtà di uomo contemporaneo, pensante e senziente in mezzo alla complessità; così comprende che mente e spirito posseggono sempre più strumenti per orientarsi rispetto alle richieste del lavoro. Con l’esperienza dello studio, dell’impegno, della responsabilità, matura conscientia di operare in un progetto, di agire di volta in volta in una specifica sezione di esso, di avere in fieri un metodo ed una capacità di ragionamento rispetto a problemi. Matura la volontà di esserci, liberando la propria creatività, pur governandola.
No all’autoreferenzialità
I giovani hanno bisogno di essere spronati, “stanati” da quella indifferenziata apatia in cui li rattrappisce la società globale, nella deriva della ritualità afinalistica e del pensiero banalizzante ed acritico. Nell’esperire ciò sul campo, gli alunni delle prime classi mi guardano attoniti e con sospetto, soprattutto quando li richiamo alla curiosità di sapere dove, come e perché stanno andando o stanno facendo qualcosa … Quasi refrattari, sembrano bloccati in una nuvola di indolenza o di ignoranza rispetto alla possibilità di essere protagonisti di ciò che gli accade. Poi, pian piano si adattano e accolgono le spiegazioni; dopo molto chiedono…!! In III e IV si fidano. In V alcuni sono scettici sulla possibilità che quanto fanno a scuola sia traducibile poi nel lavoro-mondo; altri, invece, percepiscono stupiti che ciò che realizzano con gli insegnanti sia “utile” e “reale”, vi si immergono, se ne appassionano, appurandone in itinere il legame con la vita.
Così tutto assume un senso per i ragazzi, dall’alzarsi presto al mattino, al preparare ed affrontare una verifica, dall’ascoltare prendendo appunti all’intervenire in modo libero su questioni e riflessioni… In tal modo, nella coscienza -stimolata e rinnovata dal docente – che stanno costruendo un pezzo di sé operante, quelli sanno di formare un habitus del labor e di sperimentarne la spendibilità, sentono questo sostenuto da studium, ovvero da interesse, passione, tensione per la costruzione di sé.
Così il giovane si sente studente, non solo studioso, entro un apprendistato di sensibilità e competenze per sé e per il mondo concreto.
Così il docente quotidianamente costruisce la propria professionalità entro un ruolo maieutico di guida, supporto, stimolo, è anello fra microcosmo scuola e macrocosmo lavoro.
Così l’educazione, nel senso socratico del termine, si coniuga con la formazione dell’individuo-artifex, che, per poter creare all’esterno di sé, impara quotidianamente a riconoscere, attivare, perfezionare le sue potenziali risorse.
Così il liceo non è autoreferenziale, ma utile, contribuendo in modo specifico alla società operante del lavoro: forma uno sguardo complesso sul mondo, verso la strutturazione di personalità poi flessibili alle richieste del lavoro con creatività, efficienza, duttilità.
Al riguardo, alcuni brevi esempi di pratiche didattiche nella letteratura italiana e di alternanza scuola-lavoro presso il Liceo linguistico.
La lettura di opere integrali
Ogni lettura è l’ingresso nel pensiero e nello spirito di un altro, è confrontarsi o scontrarsi, pagina dopo pagina, tra le sue parole e i propri sentire. Così ciascuno di noi si lega alla letteratura con implicazioni emotive e mentali, grazie al fascino della parola5. Allora per un insegnante e per gli studenti, quando quello propone libri da leggere, avviene un “incontro” importante, con se stessi, con la letteratura, tra di loro: lui attinge al proprio background costruito nel tempo, gli alunni sentono il libro una scelta per loro, percepiscono quel vissuto e la finestra sul mondo che il professore gli apre.6 Nella mia prassi didattica propongo tematiche sociali o esistenziali-affettive alternando letture di classici a libri di scrittori del nostro tempo (ad es. Saviano, Magris, Carofiglio, Maraini, D’Avenia, Mastrocola, Battaglia, Baricco, Cohelo) per poi ricostruire le sensibilità di ogni epoca rispetto a certe dinamiche e problematiche. Per questa via gli studenti si incuriosiscono alla lettura e a volte si appassionano, soprattutto vivono lo studio come studium se in classe si ricostruiscono insieme i fili per cui il nostro tempo appare vicino o lontano a quello del passato; oppure rifiutano la lettura: in ogni caso scelgono, conscii, protagonisti del proprio pensiero, presenti alla propria volontà7.
Un approccio ermeneutico ed investigativo ai testi
Concentrarsi su contenuti culturali con una modalità costruttivista porta gli studenti ad un apprendimento dinamico e li avvia al protagonismo: ad esempio ricorrendo alla trasversalità tematica nelle letterature, alla costruzione interattiva di collegamenti disciplinari ed interdisciplinari, al dialogo ermeneutico con i testi, quindi col pensiero, la sensibilità, la poetica di un autore. Il momento dello studio letterario diviene l’incontro con un’ umanità, con il suo modo di percepire il mondo e l’esistenza, figlio del proprio tempo e fuori di esso, perché avanza un interrogativo che lo studente scopre anche proprio: gli alunni così “diventano capaci di cultura” e “l’esperienza diviene autorevole nel giudizio”, formano consapevolmente la capacità critica ed interpretativa8. E scoprono tutto ciò frutto di labor.
Lo stage alternanza scuola-lavoro9
Lo stage lavorativo, a conclusione del quarto anno di studi superiori, fa sperimentare pragmaticamente il sistema lavoro, agendo con lo “zaino” personale di quanto finallora costruito a scuola -abilità, prospettive, modi di intervento e di interazione- e gestendo emozioni entro relazioni verticali ed orizzontali “meno protette” e “più adulte”. Tale esperienza mette a nudo il terreno della vita reale dopo la scuola. Perché essa non resti per i ragazzi avulsa dal percorso scolastico, sarebbe funzionale produrne in itinere un diario di bordo e, a conclusione, oltre alla relazione di resoconto, un tema per riflettere su quanto del bagaglio di studi sia stato applicato sul terreno operativo.
Anche in questo modo a 18 anni si può comprendere perché passare per la via della cultura per arrivare al lavoro.
NOTE
[1] Etimologia pastorale otium = *oui-tium da ovis, “pecora”; etimologia militare antico indiano átati, “andare e venire”: Lago 2004. La parola otium è più antica di negotium. Virgilio (Georgiche, 490-528) racconta che dagli otia dia, dopo Saturno, re agricoltore non solamente pastore, il Lazio passò ad un lavoro forzato e tirannico, al negotium, legato allo sviluppo dei bisogni e dei mestieri agricoli, successivi alla civiltà pastorale. Per Cicerone occorre in otio de negotiis cogitare et in solitudine secum loqui e per Seneca (De Otio )“vive dunque secondo natura chi si dedica completamente all’otium (…). Ma la natura vuole anche che ci si dedichi all’azione, sicchè possiamo fare entrambe le cose e così faccio io, tanto più che pure la contemplazione è, in definitiva, un’azione”. Sulla relazione tra scholè e adulescens è nella prefazione al libro di Maculotti 2008.
[2] V.anche De Marzo.
[3] “Studio” e “Lavoro”, in Treccani.it e Pianigiani 1988. Per “Cultura” v. Angelini 2012, con bibl.di riferimento: dalla radice, kwel ( “ruotare”, “girare”, “camminare in cerchio”) derivano parole tra loro coerenti nelle lingue indoeuropee – sans.cakram (“cerchio, ruota”), gr.kyklos, (“cerchio”), lat.còlere, ing.wheel(“ruota”); còlere è ‘coltivare’ nel senso di ‘girare la terra’, ‘dissodare’; nel tempo diventa ‘avere cura’, ‘far crescere’ e ‘giovare’ (v. alcuni dialetti dell’Italia meridionale). Garbini 2007: còlere è “a. coltivare, fare, operare sul creato; b. coltivarsi, il crescere interiormente e perfezionare le proprie qualità umane; c. rendere culto, essere consapevole della propria natura di creatura, in grado di raggiungere la saggezza.
[4] “Applicare”, “Cura”, “Interesse”, “Motivare”, in Pianigiani 1988; “passione – appassionare”, in http://www.educational.rai.it/lemma/testi/viaggiare/passione.htm , testi a cura di Tullio De Mauro e Luca Lorenzetti.
[5] Si veda la prospettiva di I.Calvino, Perché leggere i classici, Oscar Mondadori, Milano 1995.
[6] “La scuola deve sapere che cosa vuole che i giovani sappiano. Deve saperlo, e quindi autorevolmente imporlo.”, poiché “una società in cui decidi sempre tutto tu è una società che ha perso la sua facoltà di indicare chi è e che cosa vuol essere”: Mastrocola 2004, pp.152-158.
[7] Tra i “diritti imprescrittibili del lettore” ci sono anche quelli “di non leggere, di saltare le pagine, di non finire un libro”: Pennac 1992.
[8] Baroni 2013. Vi si illustra l’esperienza didattico-letteraria dei “Colloqui fiorentini”: convegno nazionale di letteratura italiana a Firenze per studenti e docenti delle scuole secondarie di II grado, intorno ad un autore: “Due uomini, l’autore e il lettore, sia docente che studente, messi faccia a faccia, in un dialogo appassionato sull’esistenza umana, sulla propria vita. (…)”, pp.1-2. Per un’esemplificazione dell’esperienza v.Meccarelli 2013.
[9] Nel liceo linguistico “L.Da Vinci” di Civitanova Marche questa pratica è attivata da molti anni.
F.Anello, Progettualità creativa e promozione di competenze, in www.puntoedu.indire.it – Corso di formazione Puntoedu neoassunti, a.s.2005-2006 a cura dell’INDIRE
M. Angelini, Dalla cultura al culto, Nova Scripta, Genova 2012 in http://www.massimoangelini.it/?p=136#_ftn1
P.Baroni, Insegnare letteratura, incontrare gli autori, in Nuova Secondaria n. 8, aprile 2013
I.Calvino, Perché leggere i classici, Oscar Mondadori, Milano 1995
G.Cannarozzo, La didattica come scienza relazionale, in Scuola e didattica, 15 sett. 1999, pp.13-15
De Marzo, Istruzione e lavoro, si possono mettere insieme ‘otium’ e ‘negotium’ inhttp://www.flcgil.it/rassegna-stampa/nazionale
R.Garbini, Che cos’è la cultura, in Contaminazioni. Studi sull’intercultura, a cura di D. Costantino, Franco Angeli, Milano 2007, pp.25-36
R.Luperini, Insegnare la letteratura oggi, in Allegoria 33, settembre-dicembre 1999, pp.109-120
Giancarlo Maculotti, Lettera dalla scuola tradita, Armando Editore, Roma, marzo 2008
P. Mastrocola, La scuola raccontata al mio cane, Le fenici rosse, Parma 2004
B.Meccarelli, L’esperienza di una prof a “I Colloqui fiorentini” e B.Meccarelli, Quando il docente scopre, lo studente gli va dietro in Libertà di educazione n.34, marzo 2013.
J.Novak, L’apprendimento significativo. Le mappe concettuali per creare e usare la conoscenza, Erickson, Trento 2001
D. Pennac, Comme un roman, Editions Gallimard, 1992
O.Pianigiani, Vocabolario etimologico della lingua italiana, 1988
http://www.educational.rai.it/lemma/testi/viaggiare/passione.htm