Ha fatto molto scalpore il gesto di Cristiano Ronaldo del 9 agosto dopo aver segnato l’ennesimo gol della sua straordinaria carriera. Calcio di rigore: sguardo verso il portiere, solita rincorsa, tiro e gol. Poi l’esultanza, il solito classico “Siuuu” preceduto da un rapido segno di croce.

Si può discutere sul giocatore e sull’uomo, su chi sia più forte tra lui e Messi, come su chi abbia fatto la scelta migliore (Arabia o America?), si può anche parlare della sua vita privata e della sua figura di “self-made man”, ma non è questa la questione.



Il punto è invece un altro, cioè il fatto che il segno di croce nel Paese dei petrodollari sia vietato. Prima di analizzare meglio la questione c’è un ulteriore punto, forse ancora più grave, da osservare, e cioè il completo silenzio dei media dinnanzi a questo “gesto scandaloso”. Quello su cui tutti si sono concentrati è stata la notizia che Ronaldo ha fatto un gesto vietato in Arabia, nulla di più (con l’eccezione di Avvenire). Al massimo ci si è spinti ad ipotizzare i rischi di questo gesto, concludendo che per Cristiano Ronaldo, data la potenza mediatica del personaggio in termini di attrattività, non ci sarà alcuna sanzione, al limite un richiamo verbale per evitare che ripeta in diretta televisiva ad un evento a grande partecipazione “certi gesti”. Ma non si è osservata nessuna levata sugli scudi dinnanzi a un fatto che riflette la mancanza di qualsiasi libertà religiosa in quella regione del mondo. Ripensando agli Europei 2020 (giocati nel 2021), dove sull’onda del Black Lives Matter la maggior parte dei calciatori si inginocchiava, e ai mondiali in Qatar, dove non c’è stata alcuna protesta in campo legata ai diritti umani, sembra facile rispondere alla domanda “chi si inginocchierà per la libertà religiosa?”. Nessuno chiede davvero l’inginocchiamento dei calciatori, un gesto che forse ha avuto un forte impatto visivo (tutto da discutere) ma che non è mai andato oltre l’apparenza, al contrario almeno una protesta mediatica in Occidente era augurabile, invece questo fatto, che potenzialmente avrebbe potuto essere un motivo per analizzare la situazione religiosa in Arabia, è destinato a spegnersi nell’assordante silenzio di tutti.



Lo scandalo vero è che per nessuno in Occidente quanto accaduto sia uno scandalo, quanto piuttosto un problema di Cristiano Ronaldo.

Secondo le fonti di Aiuto alla chiesa che soffre (Acs) i cristiani in Arabia, che non possono vivere pubblicamente la propria fede, sono circa il 6% della popolazione, pari a 2,1 milioni: attualmente sembra che ci sia stato qualche lieve passo avanti verso l’accettazione di chi non pratica la religione islamica, ma, come indica il gesto di Ronaldo, la presenza pubblica di altre religioni è proibita e punita secondo le leggi statali: “I luoghi di culto non islamici sono proibiti, così come l’espressione pubblica di fedi non musulmane. L’importazione e la distribuzione di materiale religioso non islamico sono illegali per legge e il proselitismo è vietato sia per i cittadini sauditi che per gli stranieri” (Acs, Rapporto sui cristiani perseguitati 2020-2022).



Vale la pena ricordare che “il diritto alla libertà religiosa non si fonda su una disposizione soggettiva della persona, ma sulla sua stessa natura” e che il fondamento per cui è doveroso riconoscere la libertà religiosa è “la dignità della persona, le cui esigenze la ragione umana venne conoscendo sempre più chiaramente attraverso l’esperienza dei secoli” (Dignitatis Humanae).

Chi avrà il coraggio di dire che religious freedom matter?

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