La libertà vigilata come misura alternativa al carcere: lo stabilisce la sentenza 66 di quest’anno della Corte Costituzionale, con Nicolò Zanon redattore. La Consulta si è espressa sulle questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Tribunale di sorveglianza di Firenze in merito a due disposizioni del codice penale (articoli 177, secondo comma, e 230, primo comma, numero 2), dichiarandole non fondate. Se la libertà vigilata viene applicata al condannato ammesso alla liberazione condizionale, non è una misura di sicurezza né una sanzione aggiuntiva, bensì «la prosecuzione, in forme meno afflittive, della pena già subìta in origine», spiega la Corte Costituzionale.
Dunque, liberazione condizionale e libertà vigilata rappresentano un tutt’uno, e in quanto tale vanno considerate unitamente «come una misura alternativa alla detenzione». La Consulta precisa che, pertanto, la libertà vigilata «è una sorta di “prova in libertà”, finalizzata, analogamente alle altre modalità di esecuzione extra-muraria della pena, a favorire il graduale reinserimento del condannato nella società».
“LIBERTÀ VIGILATA VERIFICA TENUTA PROGNOSI DI SICURO RAVVEDIMENTO”
Il Tribunale di sorveglianza di Firenze nutriva dubbi sulla possibilità che fossero lesive del principio di ragionevolezza e di quello della finalità rieducativa della pena perché prevedono l’obbligatoria applicazione della libertà vigilata al condannato all’ergastolo ammesso alla liberazione condizionale; «ne stabiliscono la durata nella misura fissa di cinque anni; non consentono al magistrato di sorveglianza di far cessare anticipatamente l’esecuzione della misura». Invece, la sentenza della Corte Costituzionale chiarisce che non scaturisce alcun «automatismo irragionevole» dalla «disciplina censurata». Infatti, il periodo di libertà vigilata si pone come obiettivo quello di «verificare la tenuta della prognosi di “sicuro ravvedimento” già effettuata in sede di concessione della liberazione condizionale». Inoltre, consente «l’espiazione, in forma meno afflittiva, della pena così sostituita». La Consulta aggiunge che «non è irragionevole che ciò avvenga per un periodo fisso», in quanto la pena inflitta originariamente è già stata commisurata alla specificità della situazione concreta. Si rimarca altresì che l’ammissione alla liberazione condizionale «dischiude l’accesso alla definitiva estinzione della pena, una volta che ne sia decorsa l’intera durata». Per quanto riguarda il condannato all’ergastolo, il quale può avere accesso alla libertà condizionale solo dopo aver trascorso in carcere 26 anni, il periodo di libertà vigilata ha durata prestabilita e fissa, ed è associato a prescrizioni ed obblighi modulabili dalla magistratura di sorveglianza, tenendo conto delle peculiarità del caso concreto e del principio costituzionale di risocializzazione regolato dall’articolo 27 della Costituzione.