“La situazione sul terreno in Libia resta fragile, la tregua viene violata in continuazione. Oggi c’è stato un attacco al porto di Tripoli” ha detto ieri l’inviato speciale dell’Onu Ghassan Salamé. Siamo partiti da qui per fare un punto sul dossier libico con Paolo Quercia, analista di politica estera, direttore del Cenass e docente di relazioni internazionali nell’Università di Perugia.



Ecco il diario della giornata di ieri: le forze dell’Lna (Haftar) colpiscono il porto di Tripoli (distrutta una nave turca carica di armi, hanno detto le truppe di Haftar), proprio alla vigilia della riunione formato 5+5 che si tiene oggi a Ginevra; il Gna di Tripoli dice no alla missione europea per far rispettare l’embargo di armi; l’incontro a Roma tra Luigi Di Maio e il suo omologo russo Sergej Lavrov.



“L’Italia ha creato la Libia ed è il paese al quale è più legata per interessi, storia e vicinanza – commenta Quercia – ma a differenza di tutti gli altri attori, non sta ancora giocando una sua partita autonoma”.

Non crede che la situazione sfilacciata di queste ore sancisca il fallimento sostanziale della conferenza di Berlino?

Le violazioni, anche continue, del cessate il fuoco non sono così gravi, nel contesto libico. Il bombardamento del porto invece sì, segna un nuovo passaggio. Come è stato colpito il cargo, che l’Lna dice essere turco e che stesse trasportando armi, può essere colpita una petroliera o una piattaforma petrolifera.



Come spiega questa ultima iniziativa di Haftar?

Se sarà confermata la paternità dell’attacco al porto di Tripoli, il momento in cui esso è avvenuto ci porta ad interpretarlo come un segnale di risposta alla decisione europea di varare una missione navale per far rispettare l’embargo. Una sorta di avvertimento. Anche perché l’embargo navale andrà prevalentemente ad incidere sul contrabbando di petrolio libico, e dunque su Haftar, più che sul traffico di armi, che prevalentemente si svolge per via aerea e terrestre. 

Sempre Salamé ha detto che “il principio del cessate il fuoco non è stato rinnegato da nessuna delle due parti e il processo politico sta cercando di farsi strada”. Sono dichiarazioni di circostanza?

No, io credo che siano davvero due piani paralleli. Il conflitto a bassa intensità sul campo, ed il braccio di ferro internazionale per determinare i rapporti di forza tra i principali attori esterni al conflitto, ognuno con le proprie logiche.   

La missione navale in Libia è la principale iniziativa politica europea. Però appare molto limitata, perché il timore espresso da alcuni Stati che le navi possano incrementare gli sbarchi ha indotto l’Ue a spostarle davanti alle coste della Cirenaica. Ma le armi arrivano ad Haftar via terra, dall’Egitto, e non solo. Quali sono le sue osservazioni?

Che la missione navale Ue che dovrebbe svolgersi tra le acque di Grecia, Cipro e la Cirenaica è in parte una misura per l’applicazione dell’embargo in Libia, in parte una risposta all’attività turca nel Mediterraneo Orientale, alla proclamazione della Zee turco-libica e alle perforazioni nelle acque territoriali di Cipro. Dobbiamo però attendere per vedere il mandato, le regole di ingaggio e chi metterà le navi per capirne di più.

E per quanto riguarda l’opposizione di alcuni Stati membri?

In Consiglio l’Austria e l’Ungheria, in particolare, si sono opposte alla missione temendo che possa divenire un pull factor, ossia che una operazione militare diventi un operazione umanitaria. Questo è avvenuto per Sophia, ma diciamo anche che avvenne perché fu politicamente voluto che Sophia divenisse una missione di Search and Rescue e non di lotta al traffico.

Veniamo all’embargo delle armi.

La Libia è un Paese enorme, con migliaia di chilometri di confini terrestri molti dei quali non presidiati, decine di aeroporti e centinaia di chilometri di coste da monitorare. Le armi arriveranno lo stesso.

Allora a che cosa serve la missione?

È l’unico modo per la Ue di tentare di rientrare in una partita da cui è stata marginalizzata proprio dal processo di Berlino, inserendo forze militari nel conflitto libico appoggiandosi ad una risoluzione delle Nazioni Unite in tal senso.

Chi ha in mano realmente il dossier libico?

Semplicemente nessuno. Neanche i libici, neanche i principali attori esterni. Ognuno gioca la partita per avanzare i suoi interessi. Questo è il vero problema. Serve almeno la concordanza di tre o più attori esterni e di molti attori locali per stabilizzare il dossier libico.

Ieri c’è stato un bilaterale Italia-Russia. Qual è il suo significato politico?

Un’iniziativa di un certo livello, perché ha coinvolto non solo i due ministri degli Esteri ma anche i due ministri della Difesa. Riunioni di questo tipo, nel formato 2+2, non si tenevano tra i due Paesi dal 2013, prima del conflitto ucraino. L’Italia si sta allineando all’iniziativa di Berlino sulla Libia e all’iniziativa francese di apertura a Mosca. Entrambe mirano a preparare un riavvicinamento tra Europa e Russia nel 2021.

La Russia si è astenuta sulla risoluzione Onu del 14 febbraio. Perché?

Direi che l’importante è che non abbia posto il veto. In questo modo ha consentito alla risoluzione di venire adottata; ora le decisioni di Berlino sono fatte proprie nel sistema delle Nazioni Unite.

Alla luce di quando si è detto, l’Europa in Libia appare marginale. Lei ha sostenuto che la conferenza di Berlino dava non all’Europa ma alla Germania un ruolo da protagonista attraverso le Nazioni Unite. Ne è ancora convinto?

Penso che gli ultimi fatti lo confermino. L’Europa è rimasta fuori dal dossier libico perché essa non rappresenta la Turchia, la Russia e gli attori arabi, ossia i principali attori esterni di questo conflitto. Se questi attori sono parte del conflitto, devono essere anche al tavolo delle trattative. L’Ue ha sbagliato a lasciare che attori extra-europei si ritagliassero un ruolo così importante in Libia. Il contesto di riferimento è ormai necessariamente globale. La Germania lo ha capito e ha optato per questa via.

Che partita si gioca in Libia?

Molte partite. Le più importanti sono: quella tra Russia e Turchia per l’egemonia nel Mediterraneo Orientale; quella tra il progetto dell’islam politico della Fratellanza musulmana e quello autoritario e secolare dei leader militari; quella per il controllo delle risorse energetiche del Paese; quella migratoria dall’Africa verso l’Europa; quella di al Qaeda e dello stato islamico, alla ricerca di nuovi Stati falliti in cui insediarsi.

Non ha ancora citato gli Stati europei.

C’è la partita della Francia, che spera di estendere il suo controllo alla Libia, per stabilizzare il Nordafrica e da lì controllare il Mediterraneo centrale e soprattutto l’Italia; quella della Germania, che sta cercando di triangolare le relazioni con Ankara e Mosca e costruire un nuovo equilibrio euro-asiatico nel Mediterraneo Orientale e nei Balcani.

E l’Unione Europea?

C’è anche la partita dell’Ue, che con enormi difficoltà cerca di ribadire la sua esistenza come attore internazionale e produttore di sicurezza. Annoto invece, con una certa tristezza, che mi pare l’Italia non voglia o non possa giocare una sua partita autonoma, pur essendo il Paese che ha creato la Libia e che ad essa è maggiormente legato per storia, vicinanza geografica ed interessi.

(Federico Ferraù)