È un Paese che politicamente non riesce a ritrovare quella parvenza di unità che aveva sotto Gheddafi, ma dal punto di vista economico la Libia sta cercando di sfruttare al massimo la sua migliore risorsa: il petrolio e le risorse energetiche in generale. È il primo produttore in Africa, il più grande fornitore per l’Italia, e la National Oil Corporation (NOC), l’ente statale che gestisce il settore, ha appena dato il via a un programma per creare oltre 120 pozzi nuovi. Ecco perché è sempre di più un Paese sul quale si concentrano gli interessi di molti.
Per lo sfruttamento di nuovi giacimenti, racconta Ibrahim Magdud, intellettuale e arabista libico, sono già stati allacciati rapporti con società USA, ma alla porta ci sono i francesi, i brasiliani e altri ancora, russi compresi. Pure l’Italia, già presente con l’ENI, potrebbe allargare i suoi affari. Il petrolio, però, alimenta anche il mercato nero, sfruttando il fatto che la NOC, che ha sede a Tripoli, non riesce a controllare le attività che si sviluppano in altre parti del Paese, come in Cirenaica, dove si trovano la maggior parte dei porti utilizzati per la commercializzazione del greggio. Un aspetto dell’economia che mette in evidenza le mille contraddizioni di un Paese che ha potenzialità enormi, ancora non del tutto espresse. Tanto che a Tripoli, grazie proprio ai proventi del petrolio, circolano 3 milioni di auto contro un milione e mezzo di abitanti.
La Libia è già il maggior produttore di petrolio in Africa, ma vuole aumentare l’estrazione. Vuole sfruttare le difficoltà di transito delle merci nel Mar Rosso per acquisire ulteriori quote di mercato?
La Libia produce intorno a 1,5 milioni di barili al giorno e la prospettiva è di arrivare a 2 milioni. Stanno attivando nuovi pozzi, per questo una delegazione della NOC è andata negli USA per stringere un accordo con società americane. Nel Paese, infatti, c’è una zona enorme che non è stata ancora esplorata: così cominciano a dare la possibilità di trivellare a nuove imprese, le prime delle quali sono americane. L’ENI, che lavora soprattutto nel mare, mantiene la sua presenza e la sta anche aumentando. I territori da sfruttare sono verso la frontiera con l’Algeria. Ci sono tanti Paesi interessati: si sono fatte avanti società brasiliane, algerine, russe, francesi.
Chi gestisce il petrolio in Libia?
La NOC, ma c’è il problema di come gestire la parte della Cirenaica, oltre a quello del mercato nero, nel quale sono coinvolte anche alcune milizie che controllano il territorio. Ci sono navi che sbarcano e caricano. Spesso viene contrabbandato petrolio già raffinato; quello della zona delle raffinerie di Zawiya, per esempio, va direttamente nel mercato nero della Tunisia. Lo stesso fenomeno si verifica a Zuwara. Non parliamo poi della Cirenaica: anche lì molte operazioni riguardano questi traffici. Una situazione molto complessa che potrebbe riguardare anche la Russia.
La NOC, insomma, non riesce a tenere sotto controllo il comparto?
Non del tutto, quindi molti dichiarano una piccola parte del prodotto trattato e il resto viene commercializzato attraverso altri canali. Un problema molto grosso anche perché i porti più importanti sono in Cirenaica: qualcuno è controllato dagli ex Wagner, altri dagli uomini di Haftar.
La Libia è tornata a essere il primo fornitore di petrolio dell’Italia, un legame che almeno da questo punto di vista si sta rafforzando?
L’ENI è molto radicata sul territorio, ha rapporti con molti operatori. Per il petrolio e anche per il gas: vogliono aumentare anche queste esportazioni.
La Libia è in grandi difficoltà dal punto di vista politico, ma da quello economico ha grandi risorse e prospettive. Riuscirà a sfruttarle al meglio?
A Tripoli non manca niente: per le strade girano gli ultimi modelli di automobili, i negozi sono pieni. È un momento di abbondanza, c’è un consumismo sfrenato. Ci sono stato per dieci giorni e sono rimasto stupito: la popolazione nella capitale è di 1,5-2 milioni di persone, ma ci sono 3 milioni di macchine. Basta guardare le targhe, sulle quali non vengono usate lettere ma solo numeri.
Il petrolio è uno dei motivi per cui non si riesce a unificare il Paese? Non si trova un accordo su come sfruttare le risorse energetiche?
Certo, è la fonte primaria della ricchezza. La NOC è controllata dal governo di Tripoli, di Dbeibah, ma deve fare i conti, appunto, con il fatto che i porti sono in Cirenaica.
Ma ci sono accordi tra chi guida queste due parti del Paese?
Non ci sono problemi per andare da una parte all’altra del Paese. Succedono, però, cose curiose: sentivo che il governo di Tripoli sta realizzando strade anche nella parte di territorio controllata da Haftar, comprese scuole e costruzioni. C’è insomma una forma di collaborazione tra Dbeibah e Haftar, che non tocca l’esercito e la sicurezza, anche se perfino i soldati di Haftar in parte sarebbero stati pagati da Tripoli. Una situazione strana, tipo separati in casa.
(Paolo Rossetti)
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