Fanno ancora piuttosto discutere le anticipazioni di Bloomberg in merito alla famosa ormai telefonata tra Trump e Haftar: secondo tre diplomatici citati dal sito di news online Usa, anche una precedente chiamata del Consigliere per la Sicurezza Nazionale, John Bolton, aveva di fatto lasciato ad Haftar l’impressione netta di una “luce verde” degli States all’offensiva contro Tripoli del generale della Cirenaica. Intanto è l’Italia ad essere vista da Bengasi fino a Tobruk come il nemico n.1 (avendo Macron ormai scelto la parte da cui stare, ndr): come riporta il Corriere della Sera con l’inviato Cremonesi, si stanno organizzando a Bengasi e Tobruk «cortei di protesta contro Roma in quelle stesse piazze e di fronte alle moschee che nel febbraio 2011 lanciarono la sfida alla dittatura di Muammar Gheddafi». Non solo, le forze in Cirenaica con Haftar chiedono all’Italia di essere ascoltate: Roma e il Governo Conte viene finora accusata di «sostenere il terrorismo assieme a Turchia e Qatar». L’Italia viene vista come potenziale traditrice per aver scelto di stare con Tripoli in una lunga guerra sanguinosa che purtroppo non accenna a diminuire: secondo l’Oms, sono 278 morti e 1.332 feriti il bilancio dall’inizio dell’operazione militare lanciata fra il 3 e il 4 aprile scorso dal generale Khalifa Haftar.



“TRUMP TELEFONA AD HAFTAR PRIMA DELL’OFFENSIVA”

Bloomberg ha sganciato “la bomba” nell’annunciare – per ora come scoop – il via libera sostanziale dato da Trump al generale Haftar prima di cominciare l’offensiva contro Tripoli e contro il Governo riconosciuto dall’Onu di Al Serraj. «Donald Trump ha indicato in una telefonata la scorsa settimana al generale libico Khalifa Haftar che gli Usa sostenevano il suo assalto a Tripoli per deporre il governo sostenuto dall’Onu», scriveva ieri sul proprio sito online Bloomberg, citando fonti di dirigenti Usa. Una versione che evidentemente contrasta con quella fornita da Pompeo che ha spiegato come Trump in realtà abbia chiesto ad Haftar di fermarsi prima della guerra in Libia. Non solo, Bloomberg riporta che Trump avrebbe sentito Haftar dopo i vertici con Al Sisi (Presidente d’Egitto) e il Principe di Abu Dhabi,  Mohammed bin Zayed Al Nahyan, entrambi sostenitori di Haftar. Da ultimo – come riporta la Stampa – anche l’Arabia Saudita, alleato strategico degli Stati Uniti, appoggia il generale della Cirenaica: insomma, l’Italia e parte dell’Ue si ritrovano sempre più soli nel sostenere Al Serraj in un quadro diplomatico ai limiti del caos mentre in Libia continuano ad aumentare morti e profughi.



MOAVERO ALL’UE: “PRESTO CRISI MIGRANTI DA LIBIA”

Trump dovrà eventualmente smentire gli scoop di Bloomberg ma a prescindere da ciò, è innegabile come gli Usa nella partita libica siano sempre stati assai “lontani” dopo gli errori commessi da Obama nell’offensiva contro Gheddafi anni fa. «Nei giorni scorsi ho scritto alla Commissione europea perché si tenga pronta nel caso si dovessero verificare flussi consistenti e improvvisi di migranti dalla Libia. Ho scritto al primo vice-presidente della Commissione europea Frans Timmermans e al commissario per le migrazioni Dimitris Avramopoulos per chiedere che si predispongano tutti gli atti necessari, qualora si verificassero quei flussi anormali, di cui parla il Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, che prevede si possano prendere misure», è quanto fa sapere il Ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi dopo l’incontro avuto ieri con l’inviato Onu in Libia, Ghassan Salamé. «È essenziale evitare che ci sia un’escalation del confitto e portare avanti la logica del dialogo, cui l’Italia crede fermamente. Ci rendiamo naturalmente conto tutti quanti che quando ci sono in atto dei combattimenti non è semplice fare sì che finiscano, tuttavia noi crediamo fermamente nella logica del dialogo e nella perseveranza nel coltivarlo. Il dialogo con tutti, perché in queste situazioni bisogna che tutti si parlino e che ci sia chi aiuti a tenere le fila di questo dialogo. Se il dialogo continua, cresce, al dialogo seguono le azioni virtuose dal punto di vista di una riduzione o dell’arresto delle ostilità sul campo», prosegue e conclude il titolare della Farnesina che giudica il dialogo per nulla facile ma comunque stente per provare ad evitare una catastrofe politica ed umanitaria a pochi chilometri dalle coste siciliane e dunque europee.

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