E’ guerra nel settore Tech. Un gruppo di oltre una dozzina di aziende di diversi settori, dall’health alla finanza, i cui nomi per ora sono secretati per evitare ritorsioni sul mercato, ha lanciato negli Stati Uniti un’organizzazione per sostenere regole meno restrittive in materia di licenze software. L’obiettivo è chiaro e mette al centro soprattutto fornitori di servizi cloud come Microsoft e Oracle le cui politiche contrattuali sono state messe negli scorsi mesi sotto accusa da rivali, clienti e legislatori soprattutto in Europa.



Così come fatto da CISPE, ma anche da Assintel-Confcommercio in Italia, la neonata Coalition for Fair Software Licensing sostiene che i contratti software devono essere più flessibili e comprensibili per i clienti come le imprese, consentendo loro anche l’uso di servizi e programmi cloud di diversi fornitori. “I clienti del cloud di tutto il mondo sono da tempo soggetti a ripetuti danni finanziari a causa delle pratiche restrittive dei fornitori di software”, ha commentato Ryan Triplette, direttore esecutivo dell’associazione, nata solo martedì.



In particolare, negli scorsi mesi giganti come Microsoft, Oracle e SAP sono stati criticati da competitor e clienti per aver limitato l’interoperabilità di prodotti e servizi da loro offerti, rendendo talvolta più costoso il loro utilizzo sulle loro piattaforme cloud, o vietandolo del tutto. In estate, Microsoft è passata al contrattacco annunciando un cambio di policy che potesse rassicurare il settore, ma ha ricevuto le pronte risposte delle associazioni di categoria e soprattutto, in modo inusuale per il settore, anche da Amazon e Google, che hanno evidenziato come la competitor continuasse in realtà ad applicare pratiche di lock-in.



Il settore intanto sembra approvare in gran maggioranza la battaglia contro il lock-in. Sia in Italia, dove I-Com ha portato avanti uno studio presentato a maggio nel quale 82 aziende hanno stimato a 1,6 miliardi di euro il danno annuale per l’intero comparto, sia negli Stati Uniti, dove un sondaggio condotto su 250 dirigenti e amministratori del settore tecnologico ha mostrato come il 70% degli intervistati abbia dichiarato che i termini di licenza hanno limitato la loro capacità di rilasciare nuove funzionalità o prodotti, mentre un terzo ha risposto di aver subito modifiche inaspettate ai termini di licenza.

La campagna, intanto sta avendo i suoi effetti, e si muove anche la politica: dopo l’approvazione in estate di una norma contro le pratiche anti-concorrenziali all’interno del DDL Concorrenza licenziato dal Governo Draghi, racconta Bloomberg che il senatore statunitense Gary Peters, democratico del Michigan che presiede la commissione per la sicurezza interna e gli affari governativi, starebbe elaborando una legge che rivedrebbe le modalità di acquisto del software da parte del governo federale, costringendo potenzialmente i fornitori a rendere i loro sistemi meno restrittivi. Un cambiamento di policy che potrebbe avere effetti a valanga anche sugli ordinamenti di altri Paesi, e soprattutto in Europa.