Sabato 3 luglio: 152 lavoratori della Gianetti Ruote di Ceriano Laghetto, in provincia di Monza e Brianza, sono stati licenziati con una mail alla fine del loro turno di lavoro pomeridiano

9 luglio: con la stesso tipo di mail vengono licenziati 422 dipendenti della Gkn che operava in Provincia di Firenze.

Stessa sorte è toccata, nei giorni scorsi, ai 106 lavoratori della Timken di Brescia, licenziati senza alcun ricorso agli ammortizzatori sociali.



In pochi giorni, insomma, tre grandi multinazionali del settore automotive hanno deciso di chiudere gli stabilimenti senza neanche l’utilizzo delle misure di sostegno al reddito dei lavoratori che erano attivabili.

In questo quadro, certamente preoccupante, la triplice sindacale Cgil-Cisl-Uil sta mettendo in campo, in questi giorni, una mobilitazione dei lavoratori del settore metalmeccanico a difesa, appunto, del loro lavoro.



Le tre vicende non sono solamente frutto dell’inevitabile sblocco dei licenziamenti post-Covid previsto da un recente provvedimento dell’esecutivo. Mancano, ad esempio, politiche attive dedicate per i lavoratori di un settore cruciale, ma che, anche a causa della transizione ecologica e tecnologica in corso, le imprese rischiano di lasciare, nei prossimi anni, a casa. In molti casi si tratta, peraltro, di persone con un’età significativa e un’esperienza professionale limitata al settore. Sembra mancare, inoltre, un piano industriale organico per il sistema-Paese che sappia immaginare una metalmeccanica diversa per il mondo “green” che verrà.



Le transizioni, ecologica e digitale, in corso potrebbero, alla fine, diventare un incubo più che un’opportunità per molti lavoratori, a partire da quelli più deboli nel nuovo mercato del lavoro che verrà. 

Anche su questa sfida si misurerà la capacità del Governo di Mario Draghi e l’efficacia, e la bontà, delle scelte previste dal nostro Recovery Plan nonché delle strategie europee elaborate in questi mesi.

Non era, certamente, questo il mondo diverso che si immaginavano i tanti, più o meno giovani, che ben 20 anni fa, proprio in questi giorni, scendevano in piazza a Genova per contestare i grandi della terra rei, a loro dire, di costruire, o perlomeno sognare, una globalizzazione dove ancora più forti sarebbero state le grandi multinazionali e dove, inevitabilmente, più profonde sarebbero state le disuguaglianze.

Oggi abbiamo una possibilità di pensare un avvenire diverso e, fortunatamente vi sono anche le risorse per farlo. Non perdiamo l’occasione. Ripartire dalla difesa del lavoro, magari dignitoso, di qualità e persino ben retribuito, delle nostre tute blu sarebbe, certamente, un primo passo importante.

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