Anche in considerazione dell’attuale larghissimo ricorso allo smart working, molta attenzione viene dedicata ai controlli che il datore di lavoro può compiere “da remoto” sull’attività lavorativa dei dipendenti ai fini sanzionatori, impiegando software per monitorare i vari tipi di device utilizzati o ricorrendo addirittura ad agenzie di investigazione. Quei controlli, detti anche “occulti”, sono regolati dall’art. 4 dello Statuto dei lavoratori. La norma disciplina l’impiego degli “impianti audiovisivi” e degli “altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori” e prevede – oltre a determinate e specifiche autorizzazioni – che l’azienda provveda in ogni caso a informare i propri dipendenti (anche con riferimento “agli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa“).
Non va però dimenticato che il datore di lavoro può effettuare dei controlli anche direttamente. E non ci si sta riferendo alle guardie giurate che alcune imprese impiegano: la vigilanza aziendale può essere infatti impiegata “soltanto” per scopi di tutela del patrimonio aziendale e non può contestare ai lavoratori azioni o fatti diversi da quelli che attengono alla protezione del predetto patrimonio (così stabilisce l’art. 2 dello Statuto dei lavoratori). Qui ci stiamo riferendo ai controlli che il datore di lavoro può effettuare ricorrendo alla propria struttura gerarchica: anche il proprio “capo” può salire sul banco dei testimoni e fornire la prova della mancanza disciplinare qualora abbia rilevato condotte (commissive od ommissive) censurabili. In questo caso, non varrebbe invocare l’art. 3 dello Statuto dei lavoratori per cercare di impedire l’utilizzabilità di quanto riferito dal proprio superiore (l’art. 3 prevede che “I nominativi e le mansioni specifiche del personale addetto alla vigilanza dell’attività lavorativa debbono essere comunicati ai lavoratori interessati“).
Come ha recentemente osservato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 21888 del 9 ottobre scorso, “la disposizione di cui alla L. n. 300 del 1970, art. 3 – secondo la quale i nominativi e le mansioni specifiche del personale addetto alla vigilanza dell’attività lavorativa devono essere comunicati ai lavoratori interessati – non ha fatto venire meno il potere dell’imprenditore di controllare direttamente o mediante l’organizzazione gerarchica che a lui fa capo e che è conosciuta dai dipendenti, l’adempimento delle prestazioni cui costoro sono tenuti e, quindi, di accertare eventuali mancanze specifiche dei dipendenti medesimi, già commesse o in corso di esecuzione”.
La Corte Suprema ha quindi ribadito il principio secondo cui gli articoli 2 e 3 dello Statuto dei lavoratori “non precludono il potere dell’imprenditore di […] di controllare l’adempimento delle prestazioni lavorative e, quindi, di accertare mancanze specifiche dei dipendenti, ai sensi degli artt. 2086 e 2104 c.c. direttamente o mediante la propria organizzazione gerarchica“. Non solo. La Corte di Cassazione ha precisato che il controllo effettuato dal superiore gerarchico è legittimo “indipendentemente dalle modalità con le quali sia stato compiuto il controllo il quale, attesa la particolare posizione di colui che lo effettua, può legittimamente avvenire anche occultamente, senza che vi ostino né il principio di correttezza e buona fede nell’esecuzione dei rapporti, soprattutto quando siffatta modalità trovi giustificazione nella pregressa condotta non palesemente inadempiente dei dipendenti“.
Dunque: il superiore può legittimamente effettuare i controlli e le verifiche – anche in maniera non palese – che potrebbero essere demandate a un software; e spesso può compierle in maniera molto più puntuale ed efficiente di quanto un programma (per quanto evoluto) possa fare. Nel caso sottoposto alla sua attenzione, la Suprema Corte, dopo aver ribadito e affermato i principi sopra richiamati, ha confermato la legittimità di un licenziamento in tronco intimato all’esito dell’accertamento, compiuto dal superiore di un postino, di “un pervicace ritardo nella esecuzione della prestazione e delle direttive ricevute da parte del dipendente, manifestatosi attraverso la consegna della corrispondenza a macchia di leopardo senza alcuna plausibile giustificazione, causando notevoli disservizi“.
In conclusione: non sempre è necessario per il datore di lavoro attivare complessi meccanismi autorizzativi o informativi (richiesti dall’art. 4 dello Statuto dei lavoratori per le apparecchiature tecnologiche) per esercitare il potere di controllo sui propri dipendenti, essendo talvolta sufficiente – tanto più se si vuole procedere in via spedita anche in regime di smart working Covid-19 – effettuare verifiche sull’attività lavorativa per il tramite del superiore gerarchico conosciuto dal dipendente (e ciò anche da remoto e “occultamente”).