Dietro la strage di Bologna, l’attentato più grave nella storia della democrazia italiana, c’è Licio Gelli: lo rivela L’Espresso con un’inchiesta che svela documenti mai resi noti sull’eccidio. Dalle carte emergono i soldi sporchi del capo della P2: 5 milioni di dollari rubati al Banco Ambrosiano e distribuiti nei giorni della strage. Sono gli ultimi tasselli del mosaico emersi grazie alle nuove indagini della procura generale che per la prima volta identificato i presunti mandanti. Come esecutori sono stati condannati da tempo tre terroristi dei Nar: Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini, mentre l’ultima processo ha condannato all’ergastolo un quarto killer, Gilberto Cavallini. Per quanto riguarda Licio Gelli, invece, sono state accertate le responsabilità per i depistaggi successivi alla strage. Ora la procura generale aggrava le accuse contro i vertici della P2: Licio Gelli e il suo tesoriere Umberto Ortolani sono considerati mandanti e finanziatori della strage di Bologna. Dalle nuove indagini, come riportato da L’Espresso, è emerso che Licio Gelli depistò le indagini perché lui stesso aveva pianificato la strage di Bologna, insieme a Umberto Ortolani, accusato di aver procurato 5-10 milioni di dollari per finanziare i terroristi neri e comprare la complicità degli apparati statali, politici di estrema destra e servizi segreti, militari e civili.



L’ESPRESSO “LICIO GELLI MANDANTE STRAGE DI BOLOGNA”

Questa tesi nasce dall’incrocio tra le indagini sul terrorismo nero e i processi sulla bancarotta dell’Ambrosiano. La “storia” di quei 5 milioni è raccontata in un manoscritto di Licio Gelli, chiamato il “documento Bologna” che è rimasto nascosto per anni. Arrivato in Italia solo nel 1986, è stato insabbiato. Ma la procura generale ha identificato un maresciallo che è sospettato di aver inserito una fotocopia senza il frontespizio nel fascicolo, anche se il reato di favoreggiamento è ormai prescritto. L’insabbiamento sarebbe coinciso con una richiesta di Licio Gelli, comprovata da un altro documento fatto sparire, un appunto del capo di polizia mai protocollato né segnalato ai giudici che è stato ritrovato dai magistrati tra le carte del deposito della via Appia. Si tratta di un archivio segreto dell’Ufficio Affari riservati, scoperto nel 1996 dopo la morte di Federico Umberto D’Amato. La nota del Viminale è chiamata “documento artigli”, perché l’allora capo della polizia Vincenzo Parisi descrisse al ministro dell’Interno Amintore Fanfani (non si sa se però l’ha mai ricevuta) un incontro con Umberto Pierantoni, allora direttore della polizia di prevenzione, e l’avvocato Fabio Dean, legale di Licio Gelli. Il difensore protestò contro l’accusa di depistaggio della strage di Bologna e disse alla polizia che poteva «ridimensionare il tutto». A tal proposito, disse che il capo della P2 aveva già «contattato» altri politici «del Psi e della Dc», quindi chiese al ministro di prendere in mano la situazione altrimenti Gelli avrebbe tirato «fuori tutti gli artigli che ha».



STRAGE DI BOLOGNA, LE CARTE SEGRETE E L’INCHIESTA

Oggi Paolo Bellini, quinto presunto esecutore materiale, deve rispondere della strage di Bologna. Secondo intercettazioni e testimonianze, sarebbe lui l’uomo che ha portato l’esplosivo a Bologna. Inquisito già per la bomba di Bologna, fu prosciolto grazie ad un alibi fornito dalla famiglia che lo collocava a Rimini. Ma la nuova indagine ha recuperato un video di un turista tedesco che lo riprende in stazione. L’ex moglie, che lo ha riconosciuto, parla di rapporti di Bellini con «un magistrato massone» e «un carabiniere» che «lo faceva lavorare per lo Stato». E, come riportato da L’Espresso, parla di un telegramma mandato a Francesco Cossiga al termine dell’incarico di presidente della Repubblica: «Sarai sempre il mio presidente», era scritto. L’inchiesta si è concentrata soprattutto sulle “menti” dietro la strage di Bologna, individuando in Licio Gelli, Umberto Ortolani, Federico Umberto D’Amato e Mario Tedeschi, tutti già deceduti, come mandanti, finanziatori o organizzatori dell’attentato. Gli inquirenti hanno scoperto che nei giorni immediatamente precedenti la strage Licio Gelli, un suo factotum e alcuni degli esecutori si trovavano nella stessa località. Gelli o un suo emissario avrebbero consegnato il milione di dollari in contanti ad alcuni terroristi del Nar. Gli altri sono serviti anche per depistare le indagini, che ora – a quarantanni di distanza dalla strage di Bologna – sono ad una svolta.

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