Dopo la sentenza di ieri sera della Corte d’Appello di Milano, la sorella di Lidia Macchi – Stefania – ha affidato all’Ansa lo sfogo a caldo sull’assoluzione di Stefano Binda: «credo che servisse un minimo di approfondimento in più. Forse è stata una sentenza affrettata». Decisione a sorpresa quella dei giudici che hanno deciso di annullare del tutto il verdetto di primo grado e lasciare anche dell’enorme “dubbio” su chi davvero possa aver ucciso quella giovane ragazza, violentandola e accoltellandola per 29 volte. Non era presente in aula ma è felice come una Pasqua la mamma di Stefano Binda, dopo 3 anni di reclusione ora finalmente libero per l’assoluzione completa da ogni accusa. «L’assoluzione è una cosa incredibile. Ho tanta voglia di riabbracciare Stefano. In questi tre anni e mezzo l’ho visto tante volte in carcere, ma ora sarà tutto diverso. Non può essere un mostro», racconta mamma Mariuccia Poli ai colleghi de Il Giorno. «Stefano quando è avvenuto l’omicidio – spiega ancora la madre – era in montagna. Me lo ricordo alla perfezione. Lidia Macchi prima della sua scomparsa non l’avevo mai sentita nominare – sostiene la donna che nelle prossime ore riabbraccerà quel figlio rimasto in carcere per 3 lunghi anni – Ne sentii parlare da mio figlio. Mi disse che stavano cercando un’amica che era sparita».

SENTENZA RIBALTATA, BINDA ASSOLTO

Colpo di scena, l’ennesimo sul caso del delitto Lidia Macchi: Stefano Binda è stato assolto, ribaltata completamente la sentenza di primo grado che aveva dato la condanna all’ergastolo per l’ex amico della giovanissima ragazza accoltellata ormai 32 anni fa. Poco dopo le 19 i giudici della Corte d’Assise d’Appello di Milano hanno emesso la sentenza che restituisce nuovo mistero ad una famiglia martoriata dopo trent’anni di processi, colpi di scena e false piste. «Sono innocente. Non ho ucciso Lidia Macchi, non l’ho uccisa», aveva detto oggi in Aula Stefano Binda che nelle prossime ore verrà scarcerato immediatamente in quanto non pendenti su di lui altre accuse. I giudici hanno respinto così la richiesta del sostituto pg Gemma Gualdi, che aveva proposto di confermare la sentenza di carcere a vita inflitta in primo grado a Varese ormai un anno fa. Decisivo, a questo punto, il mistero sulla lettera emerso nelle ultime udienze con la testimonianza dell’avvocato Vittorini: bisognerà attendere le motivazioni della sentenza d’Appello per comprenderlo a fondo ma intanto la famiglia Macchi, 32 anni dopo, ancora non ha il nome dell’assassino della loro amata Lidia.

DIFESA STEFANO BINDA “VA ASSOLTO”

La difesa di Stefano Binda ha chiesto l’assoluzione per l’uomo imputato davanti alla Corte d’Assise d’Appello di Milano per l’omicidio di Lidia Macchi. L’avvocato Patrizia Esposito, che assiste Binda insieme a Sergio Martelli, ha chiesto anche che venga riformata la sentenza di condanna all’ergastolo per l’uomo, emessa a Varese per omicidio volontario aggravato dalla violenza sessuale. «Non ha ucciso Lidia Macchi», ha dichiarato il legale. Come riportato dall’Ansa, ha poi aggiunto: «Vorremmo che questa immagine di Stefano Binda di un pazzo con la doppia personalità venisse cancellata. Non ho sentito una sola parola sul movente, che è stato costruito dopo la consulenza psichiatrica». L’avvocato Esposito ha poi spiegato che in questi anni Stefano Binda «non ha mai compiuto un gesto di violenza, e ha sempre pagato per i suoi errori». Inoltre, il legale ha evidenziato che l’uomo ha trascorso «50 anni senza problemi, non ha condanne e non ha mai avuto guai togliendo qualche banalità legata alla droga», e quindi alla tossicodipendenza di cui ha sofferto in passato. (agg. di Silvana Palazzo)

OMICIDIO LIDIA MACCHIA: PG CHIEDE ERGASTOLO PER STEFANO BINDA

Il procuratore generale di Milano, Gemma Gualdi, ha chiesto al termine della sua requisitoria la condanna all’ergastolo anche in Appello per Stefano Binda: «il poeta anonimo è certamente Stefano Binda e Binda ha scritto quella lettera perché ha vissuto i fatti descritti», dunque per l’accusa è lui l’assassinio di Lidia Macchi. Accoltellata dopo averla violenta, il killer in primo grado era stato riconosciuto in Stefano Binda ma la riapertura della Corte d’Appello di una nuova requisitoria ha messo più in discussione una sentenza che sembrava invece blindata dopo il ricorso della difesa. Come riporta l’Ansa, il pg durante la requisitoria ha provato a ricompattare le accuse contro Binda chiedendo assolutamente di «confermare la sentenza di primo grado della Corte d’assise di Varese, che ha condannato il 51enne all’ergastolo per omicidio volontario aggravato dalla violenza sessuale». Decisiva a questo punto è quella testimonianza dell’avvocato Vittorini sulla lettera “In morta di un’amica”: i giudici dovranno decidere se vale o non vale la pena di rimettere tutto in discussione per la testimonianza “misteriosa” data dal legale negli scorsi giorni.

PROCESSO LIDIA MACCHI, OGGI LA SENTENZA D’APPELLO

È attesa per oggi, al più tardi domani mattina, la sentenza sul caso Lidia Macchi con la Corte d’Appello di Milano riunita per dirimere sull’assoluzione o condanna a Stefano Binda, l’amico della ragazza accoltellata senza pietà con 29 coltellate nel bosco di Cittiglio l’ormai lontanissimo 1987. Dopo la decisione della Corte d’Assise d’Appello di riaprire l’istruttoria per questo Secondo Grado (in primo grado nell’aprile 2018 fu condanna all’ergastolo per Binda), dopo la clamorosa novità del possibile autore della lettera considerata prova regina contro Stefano Binda durante il primo, lungo, processo al Tribunale di Milano, oggi si dovrebbe giungere alla sentenza dei giudici d’Appello che dovranno confermare la condanna o promuovere l’assoluzione (con immediata scarcerazione visto che Binda non è in concorso con altre condanne o accuse). Presente in aula, l’imputato all’apertura dell’udienza ha rilasciato alcune dichiarazioni spontanee: «io sono innocente. Non l’ho uccisa io, non so nulla di quella sera, ero a Pragelato dall’uno al sei (del gennaio 1987 ndr), ricordo di due pullman di persone e solo al ritorno ho appreso della notizia dell’uccisione di Lidia Macchi».

OGGI SENTENZA STEFANO BINDA: ASSOLUZIONE O CONDANNA?

La vacanza di cui fa riferimento Stefano Binda è quella di Gioventù Studentesca organizzata dall’1 al 6 gennaio di quel 1987, dove l’allora ragazzo sosteneva di esser stato per l’intera durata non potendo dunque essere presente al momento dell’omicidio. Ancora Binda in aula questa mattina sostiene «Sono estraneo a tutti i fatti, a tutti gli addebiti. Non ho spedito, non ho fatto arrivare a chicchessia nulla che fosse anonimo (lettera ‘In morta di un’amica’, spedita il giorno del funerale e considerata dall’accusa la prova regina contro Binda, ndr). Non ho ucciso persone, sono innocente». La discussione è poi proseguita con l’intervento del procuratore generale Gemma Gualdi che guida i capi d’accusa contro Stefano Binda, accusato e già condannato di essere il killer della giovanissima Lidia. Se la tempistica dei giudici d’appello fosse rispettata appieno, si potrebbe giungere alla sentenza anche a fine giornata. I giudici dovranno valutare la veridicità della testimonianza dell’avvocato Piergiorgio Vittorini tenuta lo scorso 18 aprile nell’ultima udienza prima della sentenza di oggi: in aula il legale ha presentato uno scritto di un suo cliente rimasto per ora anonimo che sostiene di aver scritto lui la lettera “In morte di un’amica” ma di non essere colpevole dell’assassinio di Lidia Macchi. Quel suo cliente avrebbe scritto la lettera come forma di protesta ma che finora non ha voluto mostrarsi perché non un alibi per la notte del delitto avvenuto nel 1987. Nel frattempo, la prima sezione penale della Cassazione aveva già rigettato il ricorso presentato dai legali di Binda contro l’ordinanza del Tribunale del Riesame di Milano che ha confermato le esigenze cautelari per il 51enne.