“Io vivo del mio sogno, ma non mi sono mai risparmiata”. Come sempre diretta, senza filtri, con grande personalità. Lidia Vitale arriva da un periodo ricco di impegni e di soddisfazioni, ma la lotta non finisce mai. Dopo il film “Ghiaccio” di Fabrizio Oro (disponibile su Prime Video), la serie tv “Luna Park” (disponibile su Netflix) e il nuovo capolavoro di Marco Bellocchio, “Esterno notte” (presto su Rai 1), l’attrice la vedremo presto nel prossimo film di Pippo Mezzapesa “Ti mangio il cuore” e in quello di Paolo Genovese “Il primo giorno della mia vita”. Ma non è finita qui. La vulcanica interprete è al lavoro per il suo debutto alla regia di un lungometraggio, un progetto ambizioso. Di questo e di molto altro ha parlato ai nostri microfoni.
Dal 2020 al 2022 ha girato un sacco di film, come sta vivendo questo momento?
Un momento meraviglioso. Ci sono alcuni attori che lavorano sempre con dei cachèe altissimi, ma altri, pur lavorando come dei forsennati, devono viaggiare ad un’onda alta di energia per non essere “sconfitto”. Io devo visualizzare che al più presto arrivi qualcosa di meraviglioso, altrimenti l’affitto ti chiama. E’ meraviglioso (ride, ndr). Ma c’è la soddisfazione di aver partecipato a dei progetti importanti, belli e di valore. Quella dell’attore è una vita dura, soprattutto in un Paese dove non si provvede a fornire dei sostentamenti giusti per chi fa questo lavoro.
Cosa consiglierebbe alle giovani attrici?
Bisogna strutturarsi in maniera forte, sia dal punto di vista spirituale che dal punto di vista attoriale. Di imparare le lingue, così da avere più mercati di approccio. Avere dei piani B, cosa che io non ho fatto magari. Io il piano B in realtà ce l’avevo, perché facevo la madre da sola, quando mi laureavo. Bisogna cominciare a pensare da subito che questo è un lavoro, strutturandoti in maniera che quando arrivano i momenti duri si riescano a sostenere. Senza pensare di sentirsi subito arrivati. Oggi c’è chi fa una cosa e si sente subito arrivato, ma questa è una cosa che dura tutta la vita.
Com’è passare da un personaggio all’altro?
E’ bellissimo. Io adoro fare a pezzi al mio ego e fare spazio all’altro. Questo è il mio percorso di sempre. Bisogna pulire tutto e fare spazio ad un altro, con profonda compassione e senza giudizio. Bisogna avere grande apertura, perché i personaggi non sono tutti simpatici e non sempre si ritrovano in situazioni piacevoli.
Ha un personaggio del cuore?
Tutti i miei personaggi sono personaggi del cuore. Ogni personaggio ha accompagnato una fase del mio percorso. Ho dei personaggi ai quali ho dedicato più tempo, come quello del nuovo film di Pippo Mezzapesa. Quando affronto un nuovo personaggio, inizio la ricerca, la mia esplorazione. Ma ogni personaggio ha coinciso con un momento della mia vita. Ho sempre usato un personaggio per superare un momento e per arricchirlo. Certo, l’ultimo personaggio è sempre quello che ricordi di più.
Come è stato lavorare con Elodie, insieme a lei nel nuovo film di Pippo Mezzapesa?
Io le riconosco una grande intelligenza e un grande coraggio. Con lei abbiamo creato una sorellanza, la vedo un po’ come una figlia. Ho avuto il desiderio di proteggerla, anche perché c’è tanto di Elodie che ricorda la me da bambina. Abbiamo lavorato tanto insieme. Si è fidata, ha accolto il mio aiuto, abbiamo creato una vera e propria sorellanza. Ed è ciò su cui sto basando il mio lavoro con le donne: creare un legame forte, al di là delle differenze. Bisogna creare rete, per questo il lavoro con le donne oggi è importantissimo.
Nel suo ultimo cortometraggio, “Tre fratelli”, ha utilizzato una troupe di sole donne…
Sì. E adesso sto partecipando al MIC per lo sviluppo della produzione del mio lungometraggio e ho le idee chiare: vorrei capi-reparto donne e assistenti uomini. Perché ho bisogno degli uomini, ma voglio portare quel colore rosa dell’accoglienza, dell’amore e della gentilezza delle donne. E vorrei anche aprire il maschile a questo.
Il progetto “AMA” sta incontrando degli ostacoli?
E’ una storia tostissima, pop-rock, sull’abuso, tutta al femminile negli anni Ottanta. E’ una ragazzina che scappa di casa dall’abuso, per poi ritrovarselo a casa tutti i giorni, con un accenno al mondo del business degli anni Ottanta. Un momento abbastanza clou, in cui tutti facevano ai sorrisi di consenso. Io ci ho messo venti anni a rinunciare ai sorrisi di consenso.
Nel mondo del cinema, la bellezza quanto conta?
La bellezza aiuta. Ma è vero anche che dobbiamo stimolare la ricerca in quel senso. C’è una bellezza che esce fuori dai canoni. Io per anni mi sono sentita brutta. Ci ho messo tanto a riconoscermi. Noi ci sentiamo vittime dei modelli, li subiamo. Dobbiamo liberarci dal modello di bellezza e dobbiamo imporre una bellezza diversa. Anche questo è un segnale importante. Perché un uomo con la pancia è affascinante e le donne devono essere sempre in tiro? Chi nasce di bell’aspetto, è fortunato. Ma come la utilizza quella bellezza?.
Le giovani possono pensare che non basti studiare per sfondare come attrici?
Studiare serve. Poi ti devi manifestare. Se non ti arriva il lavoro, te lo crei, ti esponi. Non bisogna stare a lamentarsi, bisogna lanciarsi. Elodie dice sempre di non aver studiato, ma ha avuto il coraggio di lanciarsi, di aprirsi alle critiche. Ci vuole coraggio, sempre. Io dico sempre di stimolare una crescita personale per non avere paura di lanciarsi. La differenza tra un vincitore e un perdente la fa l’azione di buttarsi, di esporsi, di manifestarsi. Ci hanno imbottito di credenze. Mi sono sentita sempre dire da ragazzina ‘ma dove vai a fare l’attrice?’. Non bisogna ascoltare certe cose. Il modello occidentale ha fallito su tutta la linea, anche a livello spirituale, dividendo il corpo dallo spirito. Ma siamo un tuttuno. Corpo e mente non sono divisi.
Cosa si può fare per cambiare marcia nella rivoluzione femminile?
Bisogna essere unite e fare rete. Al di là delle differenze, delle simpatie o delle antipatie. Bisogna sostenere in maniera integra certe cause. Non bisogna partecipare più a un certo tipo di comportamenti.
Lei pratica il buddismo, come è nato l’incontro con questa religione?
E’ nato tantissimi anni fa. Iniziai a praticare nel 1989, trentadue anni fa, quando avevo diciassette anni. L’insegnamento buddista non divide, punta alla pace nel mondo, è una pratica costante che porta l’essere umano alla rivoluzione umana, a fare diventare i propri desideri strumento per manifestare in questa vita il potenziale illimitato che c’è nell’essere umano. Io venivo da una situazione disfunzionale, ho provato a fare questa ‘ginnastica dello spirito’ e da lì non ho mai smesso: ho iniziato il mio processo rivoluzionario. E ora sono portavoce di un cambiamento. Anche fare l’attrice è una rivoluzione messa in atto.
Il nome di sua figlia, la giovane attrice Blu Yoshimi, deriva da qui…
Il nome Blu l’ho dato io. Io facevo l’università, una ricerca sulla pubblicità e avevo deciso che blu sarebbe entrata nell’immaginario collettivo attraverso il messaggio pubblicitario. Cosa che poi è successa (ride, ndr). Yoshimi l’ho chiesto al presidente dell’associazione buddista. Lei lo onora a 360 gradi questo nome.
Lei stava studiando, ha avuto una figlia e lavorava. E’ possibile conciliare tutte queste cose?
La pratica buddista mi è servita a rompere le dinamiche spazio-temporali. Se utilizzi l’energia in un certo modo, puoi usare i ‘superpoteri’, ovvero il potenziale illimitato che l’essere umano ha. Certo, non mi sono risparmiata e ci ho sempre creduto. Ho sempre fatto tutto quello che c’era da fare. Ho trovato ostacoli e ne trovo tutt’ora. Anzi, più vado avanti e più aumentano: è un processo che dura tutta la vita.
(A cura di Gloria Amicone e Massimo Balsamo)