Liliana Resinovich si è suicidata? Il fratello della donna, Sergio Resinovich non ci crede assolutamente e nella sua opposizione alla richiesta di archiviazione avanzata dalla Procura di Trieste punta a smontare questa tesi. Secondo i consulenti della famiglia della 63enne, potrebbe essere stata uccisa e un elemento in particolare, tra i tanti portati all’attenzione del gip nei documenti redatti dagli esperti incaricati dal fratello, andrebbe in quella direzione: la presenza di una bottiglietta d’acqua, nella borsa della vittima, sulla quale non esistono impronte. Né di Liliana Resinovich né di terzi. E c’è di più: nel beccuccio sarebbe stato rilevato del Dna misto non appartenente alla donna. Come ha fatto a maneggiarla e inserirla nella borsetta senza lasciare traccia? Liliana Resinovich non indossava guanti, e questo non spiega la presenza di un’impronta di guanto in tessuto isolata sui sacchi neri che contenevano il corpo.
“Mia sorella non beveva molto – ha dichiarato Sergio Resinovich a Chi l’ha visto? –, non portava mai acqua con sé nemmeno nelle giornate più calde. Non riesco a capire, anche il fatto che dopo quasi un anno di indagini hanno chiuso con archiviazione come suicidio, hanno deciso che lei si è suicidata, ma in base a cosa? Dicono che ha camminato da piazzale Gioberti al parco, ma non vedo il nesso: volendosi suicidare l’avrebbe fatto a casa. Ci sono troppe cose incomprensibili“. La sola spiegazione possibile, secondo la genetista forense Marina Baldi, è che quella bottiglia non sia di Liliana Resinovich.
I consulenti del fratello di Liliana Resinovich contro l’archiviazione: “Nessuna impronta su sacchi e bottiglietta”
Non ci sono impronte di Liliana Resinovich sui sacchi neri con cui, secondo la ricostruzione sostenuta dalla Procura, si sarebbe coperta prima di togliersi la vita soffocandosi con delle buste in testa. E nessuna impronta della donna sarebbe stata rilevata sulla bottiglietta che aveva nella borsa. Perché? La 63enne, dicono i consulenti del fratello Sergio Resinovich, stando a queste risultanze non ha toccato quegli oggetti che sono invece parte integrante della scena del ritrovamento del corpo e che dovrebbero essere stati maneggiati dalla vittima nelle fasi precedenti alla morte. Liliana Resinovich non indossava guanti e l’assenza di tracce a lei riconducibili non risulta spiegata.
Nicola Caprioli, criminologo forense esperto di impronte papillari, ha parlato di queste “anomalie“ ai microfoni di Chi l’ha visto?: “È stata effettuata una ricerca di impronte papillari, per vedere se si potevano rilevare tracce riferibili a Liliana o altre persone, con esito negativo: non solo non sono state rilevate impronte utili alla comparazione, ma non sono presenti frammenti di natura papillare. Non ci sono contatti“. Il consulente ha poi parlato del beccuccio della bottiglietta, sottolineando l’assenza di Dna della donna: “È stato rilevato del Dna che non è stato attribuito a nessuno, ma non è il suo“. I sacchi neri, inoltre, sono tra gli elementi più enigmatici della vicenda: “Su questi non ci sono proprio impronte papillari – ha precisato Caprioli –. Non ci sono nemmeno contatti miminali che potessero far pensare a una manipolazione delle buste“. Il giallo è ancora lontano dalla soluzione e la parola ora passa al gip, chiamato a decidere sull’istanza di archiviazione presentata dalla Procura di Trieste e sulle relative opposizioni avanzate dai familiari.