Si è tornati – nell’ultimo periodo – a parlare insistentemente della morte di Liliana Resinovich dato che la Procura sembra aver ricalcolato il giorno della morte confermando le ipotesi che sono sempre state avanzate dalla famiglia della vittima, ovvero che sia stata uccisa il giorno stesso della sparizione e poi posizionata nel luogo del ritrovamento diversi giorni più tardi: proprio di questo sono tornati a parlare Claudio Sterpin (che con Liliana avrebbe condiviso una relazione extraconiugale) e il fratello Sergio, che ci tiene in particolare a risolvere l’enigma delle telefonate cancellate dal cellulare di Liliana Resinovich, e anche l’amica Gabriella.



I dubbi – che peraltro emergono a quattro anni dalla sparizione – sono parecchi, tra i già citati messaggi e la data effettiva della morte, senza dimenticare neppure che solo ora è emerso che sul cadavere ci sarebbero stati dei chiari segni di colluttazione che non sono mai stati indagati o approfonditi; tanto che circa un anno e mezzo fa la Procura avrebbe provato a classificare la morte come un semplice suicidio cercando di archiviare l’indagine, il tutto senza mai indagare in alcun modo – nonostante le tante voci che lo chiedevano – sulla posizione del marito di Liliana Resinovich, Sebastiano Visintin.



Il fratello di Liliana Resinovich: “Nessuno mi ha mai mostrato le ferite sul suo corpo”

A Storie Italiane – dicevamo – è intervenuto Claudio Sterpin che ci tiene innanzitutto a dirsi sconcertato per il modo in cui sono state condotte le indagini: “A me – spiega – fa specie che tutto questo venga fuori due anni dopo”, soprattutto perché “hanno sepolto Liliana Resinovich con una vertebra rotta e noi lo sappiamo solo adesso. Io sono stato tacciato di fare del vaniloquio ed oggi, grazie a me e tanti altri, siamo ancora qua a parlane perché sennò il caso si sarebbe chiuso un anno e mezzo fa per suicidio senza che la procura abbia fatto niente per trovare un indizio. Non è imprecisione, ma negligenza“.



Dal conto suo – invece – il fratello di Liliana Resinovich ci tiene a precisare che “in quel periodo, in quell’anno, l’invero era particolarmente mite e non credo che quei quattro gradi [indicati dalla Procura] siano rilevanti”, sicuramente non quanto “il fatto delle ferite che io avevo già chiesto di approfondite quando ho fatto il riconoscimento del cadavere”. In quell’occasione, ricorda, “mi hanno mostrato una foto con il solo lato sinistro del viso in cui non si vedeva niente se non dei capillari rotti” e a fronte dei suoi dubbi su eventuali ferite “mi dissero che erano segni post-mortem” e non mostrarono la parte destre dal viso “fino a quando non hanno cercato di archiviare per suicidio”.

Presente – sempre a Storie Italiane – infine anche l’amica di Liliana Resinovich Gabriella che mette immediatamente in chiaro che “devono essere indagati i 25 punti che aveva indicato il Gip perché questo caso non si può basare solo sugli esami del medico legale” ma deve obbligatoriamente anche includere gli eventuali indizi che – dal conto suo – “ci sono”, così come ci sono anche “dati oggettivi” da cui partire: cita – per esempio – “la perizia informatica” sulle telefonate cancellate, ma anche “la GoPro” sparita nel nulla e che parrebbe sia piena di video mai analizzati.