Le ombre sul giallo di Trieste, il caso della 63enne Liliana Resinovich scomparsa il 14 dicembre 2021 e trovata senza vita il 5 gennaio seguente nel parco dell’ex ospedale psichiatrico San Giovanni, si infittiscono. Al centro di un interrogativo chiave, le impronte di un guanto in tessuto isolate sui sacchi neri della spazzatura che avvolgevano parte del corpo della donna: Liliana Resinovich non indossava guanti e accanto al corpo, nell’area del ritrovamento, ne sarebbe stato trovato uno che non si escluderebbe essere potenzialmente legato alla vicenda.
Ma c’è di più, secondo l’avvocato Nicodemo Gentile che assiste il fratello di Liliana Resinovich, Sergio, nell’atto di opposizione alla richiesta di archiviazione per suicidio avanzata dalla Procura del capoluogo friulano: sui sacchi non c’è alcuna impronta della vittima, e questo appare impossibile se si pensa che avrebbe dovuto maneggiarli più volte per infilarsi all’interno prima di soffocarsi con due buste di nylon in testa. Chi indossava il guanto che avrebbe lasciato le tracce rilevate dagli inquirenti? La domanda torna sulle colonne del settimanale Giallo, insieme a quanto sottolineato dalla trasmissione Quarto Grado: un guanto da lavoro sarebbe stato rinvenuto a una “manciata di metri” dal luogo del ritrovamento del cadavere.
La chiave del giallo di Liliana Resinovich in un guanto?
Le sole tracce di Liliana Resinovich sulle buste e sul cordino sarebbero di sangue, ma non ci sarebbe alcuna impronta riconducibile alla donna. Se si tratta di un suicidio, come gli inquirenti sostengono in ottica archiviazione, com’è possibile che la 63enne abbia agito sui sacchi senza lasciare traccia? Le impronte di un guanto in tessuto lasciano aperto lo scenario di un omicidio, elemento che secondo la famiglia irrobustirebbe proprio il quadro di una morte causata da terzi e, secondo quanto trasmesso da Quarto Grado, in prossimità della scena del ritrovamento del corpo di Liliana Resinovich sarebbe stato repertato un “guanto da lavoro in tessuto elastico, nero e con il polsino bordato di giallo“.
Appartiene a qualcuno che ha maneggiato i sacchi neri in cui è stata ritrovata la 63enne senza vita oppure era lì per puro caso, come uno dei tanti rifiuti che si trovano spesso nella zona? A questo interrogativo al momento non c’è una risposta chiara. Certo è che il fratello di Liliana Resinovich, Sergio, così come il suo “amico speciale” Claudio Sterpin, non ha mai creduto all’ipotesi suicidaria. Spinto dai dubbi intorno alla morte della donna, poche ore fa anche il marito Sebastiano Visintin avrebbe deciso di opporsi alla richiesta di archiviazione proposta dalla Procura di Trieste. Troppe ombre, ancora oggi, avvolgono la storia di Liliana Resinovich perché il caso possa dirsi definitivamente chiuso.