Se fosse la trama di un film, sarebbe uno di quei gialli con il colpo di scena dietro l’angolo ad ogni sequenza, ma è tutto reale: non c’è ancora soluzione sulla morte di Liliana Resinovich, la 63enne scomparsa misteriosamente dalla sua casa di Trieste il 14 dicembre 2021 e trovata morta in un parco della città il 5 gennaio seguente, e le “sorprese” nell’alveo degli scenari possibili non sembrano finite. Secondo la Procura, la donna si sarebbe suicidata e per questo, non rilevando elementi utili a configurare ipotesi di reato a carico di terzi nel decesso, è stata chiesta l’archiviazione delle indagini. Una lettura degli eventi che non convince i parenti di Liliana Resinovich, anzitutto il fratello Sergio, pronto a una dura battaglia nella sua opposizione alla chiusura del caso.
I consulenti che lo assistono, assicura il medico legale Vittorio Fineschi, avrebbero evidenziato diversi punti critici nelle conclusioni della consulenza disposta dalla Procura sull’epoca e le cause del decesso e ora si attenderà la decisione del gip su una eventuale nuova fase di indagine. Ad attirare l’attenzione di chi non crede alla tesi suicidaria, oltre alle singolari condizioni in cui il corpo è stato ritrovato (contenuto in alcuni sacchi della spazzatura, la testa infilata in due buste della spesa chiuse con un cordino non stretto intorno al collo), sarebbero anche le misteriose tracce di Dna isolate su alcuni reperti e mai attribuite. Ad oggi, l’unica certezza è che non sono di Liliana Resinovich. In questa costellazione densa di punti nebulosi si insinuerebbe un elemento che, per i consulenti del fratello, sarebbe significativo e indicherebbe come possibile l’ipotesi di un omicidio con successivo staging (messinscena) per simulare un gesto anticonservativo di natura volontaria: non ci sono impronte di Liliana Resinovich sui sacchi e sulla bottiglietta d’acqua rinvenuta nella sua borsa. Oggetti che avrebbe dovuto necessariamente maneggiare nelle fasi immediatamente precedenti al drammatico epilogo della sua esistenza.
La famiglia di Liliana Resinovich contro l’archiviazione: c’è un assassino a piede libero?
L’ipotesi più sinistra dietro la morte di Liliana Resinovich è portata avanti proprio dalla famiglia della donna, su tutti dal fratello, Sergio Resinovich, convinto che non possa essersi tolta la vita. A fargli storcere il naso davanti alla ricostruzione della Procura, secondo cui la 63enne si sarebbe soffocata con i sacchetti dopo essersi allontanata intenzionalmente da casa ed essersi diretta nel parco dell’ex ospedale psichiatrico San Giovanni (dove sarebbe stata ritrovata settimane dopo la scomparsa), sarebbe anzitutto una considerazione: perché uccidersi con quelle modalità? Tra i tanti dubbi sollevati dai consulenti dell’uomo ce n’è uno che farebbe da traino all’ipotesi di un omicidio: la presenza di tracce di Dna mai attribuite sulla scena, isolate su alcuni reperti e non appartenenti alla vittima. Di chi sono? C’è un assassino a piede libero? I parenti continuano a sostenere che sì, questo scenario regge.
Secondo il medico legale Vittorio Fineschi, consulente del fratello della 63enne, Liliana Resinovich potrebbe essere stata colpita prima di morire. Potrebbero provarlo alcune lesioni di carattere contusivo evidenziate sul volto della donna e, secondo il suo parere, mai interpretate in sede autoptica. E c’è di più: Fineschi introduce un appunto che, se confermato, potrebbe davvero riscrivere la storia di questo giallo. Stando a quanto dichiarato dal professore a Ore 14, infatti, l’ipotesi del congelamento del cadavere non può dirsi esclusa per un principale motivo: nessuno avrebbe cercato eventuali esiti da congelamento durante l’esame del corpo. “Dovevano essere fatte indagini che non sono state assolutamente fatte“, ha affermato Fineschi, sostenendo inoltre la presenza di “alterazioni microtraumatiche” sul corpo “che non sono state valutate”.