La morte di Liliana Resinovich è ancora un giallo e, a 7 mesi dal ritrovamento del cadavere della 63enne di Trieste nel parco dell’ex ospedale psichiatrico di San Giovanni, sarebbero molti gli elementi potenzialmente utili a inquadrarla come omicidio. Ne è convinto Nicodemo Gentile, avvocato del fratello della vittima, Sergio Resinovich, che in una nota ha spiegato cosa non quadra nella ricostruzione portata avanti dalla Procura e cristallizzata nella bozza della consulenza a firma degli esperti Fulvio Costantinides, medico legale, e Fabio Cavalli, radiologo. Un documento di circa 50 pagine che parla di verosimile suicidio: secondo i consulenti incaricati dalla Procura, infatti, Liliana Resinovich si sarebbe tolta la vita soffocandosi con due sacchetti in testa, sebbene persistano ombre sulla tempistica del decesso. Non è chiaro infatti se la 63enne sia morta il giorno stesso della scomparsa, il 14 dicembre 2021, oppure, come riterrebbero plausibile gli esperti alla luce del buono stato di conservazione, a ridosso del ritrovamento del corpo, forse 2 o 3 giorni prima.



Ammesso questo ultimo scenario, però, resterebbe un altro enorme interrogativo senza soluzione: dove sarebbe stata Liliana Resinovich nel periodo tra la sparizione e la morte? Poche ore fa, Nicodemo Gentile ha condensato in una nota tutto quello che, a detta dei consulenti del fratello della vittima, Sergio Resinovich, poco o per nulla quadrerebbe nella ricostruzione finora fatta dalla Procura. Anzitutto le “strane fratture” isolate sul cadavere della 63enne, poi un dettaglio che alimenterebbe il sospetto di una morte violenta e di uno “staging“, una messinscena che “uno o più aggressori” potrebbero aver prodotto al fine di depistare e indirizzare le indagini sui binari dell’azione suicidaria.



Liliana Resinovich, “strane fratture”: così il fratello Sergio smonta il suicidio

La famiglia di Liliana Resinovich – su tutti il marito Sebastiano Visintin e il fratello della vittima, Sergio Resinovich – non crede all’ipotesi del suicidio avanzata dagli esperti incaricati dalla Procura di Trieste nella loro consulenza sul caso. Secondo quanto dichiarato dall’avvocato Nicodemo Gentile, che assiste quest’ultimo nell’iter per scoprire la verità sulla morte della 63enne, sussisterebbero pesanti elementi a ricostruire il quadro di un omicidio commesso da una o più persone. In una nota, il legale che segue il fratello della donna scomparsa a Trieste il 14 dicembre 2021 e trovata senza vita in un parco della città il 5 gennaio scorso – testa infilata in due sacchetti di plastica e il resto del corpo in due sacchi per la spazzatura – spiega quali sono gli indizi che porterebbero a una ricostruzione totalmente diversa rispetto a quella di un gesto anticonservativo. Secondo l’avvocato Gentile, “le conclusioni a cui addiviene l’esperto della Procura non sono condivisibili”, sia in merito all’inquadramento temporale dell’evento morte sia in ordine alla causa dello stesso.



Quanto riportato nella bozza della consulenza disposta dalla Procura, secondo il legale di Sergio Resinovich, sarebbe palesemente sganciato “da stringenti valutazioni scientifiche” e non terrebbe conto di “tutta una serie di elementi circostanziali arguibili dall’esame attento della scena criminis”. Dallo stesso documento, a detta di Gentile, si evincerebbe invece una verità alternativa che l’avvocato definisce “sorprendentemente svalutata” e che, invece, fotograferebbe l’esatta entità dell’accaduto. Sul corpo di Liliana Resinovich, scrive ancora Gentile, sarebbero presenti evidenze che deporrebbero per una pista omicidiaria a partire da “segni traumatici” che rimanderebbero allo scenario di un pestaggio. Prima di essere uccisa, secondo quanto ricostruito dai consulenti del fratello della vittima, Liliana Resinovich sarebbe stata percossa. E questo, sottolinea ancora l’avvocato Nicodemo Gentile, emergerebbe “con un’evidenza quasi banale” da segni quali “la palpebra destra tumefatta, il sangue nella narice destra e il trauma nella parte destra della lingua, nonché il colpo ricevuto sulla tempia sinistra ed ancora un segno sul seno, più scuro delle ipostasi, probabilmente un livido, e un piccolo taglio sulle dita di un piede“. Sul cadavere, inoltre, sarebbero state riscontrate “alcune strane fratture” che i consulenti di Sergio Resinovich si riservano di sottoporre a prossime valutazioni una volta acquisiti gli atti del fascicolo.

Il giallo dell’orologio nella morte di Liliana Resinovich

Nel giallo di Trieste spunta un altro enigma: l’orologio trovato al polso di Liliana Resinovich. È un elemento sottolineato con forza dallo stesso avvocato Gentile nella sua recente nota sul caso, dettaglio centrale nel comunicato in cui annuncia anche la nomina di un ulteriore medico legale, Vittorio Fineschi, titolare della cattedra di Medicina legale a Roma che contribuirà alle indagini di parte per conto di Sergio Resinovich. Secondo la ricostruzione prodotta dai consulenti del fratello della 63enne, uno o più aggressori avrebbero avuto una colluttazione con Liliana Resinovich prima di provocarne la morte e dedicarsi a “ricomporre” la donna rivestendola. “Solo così – spiega Nicodemo Gentile – si può giustificare il dato oggettivo che, con forza, annulla l’ipotesi suicidaria facendo prevalere quella della manomissione del cadavere, quindi un evidente staging”. Il dato che punterebbe chiaramente a questo orizzonte dei fatti, a detta del legale, sarebbe legato alle anomalie relative all’orologio rinvenuto sul polso sinistro della vittima “di colore rosa, ritrovato con la corona rivolta al contrario, quindi nel verso sbagliato”. Per il team di Sergio Resinovich sarebbe questo un “elemento di inconfutabile valore, poiché colui o coloro che hanno riagganciato l’orologio hanno sbagliato non solo il verso della corona, ma anche il polso”. La 63enne, infatti, secondo i consulenti del fratello era solita portarlo alla destra.

Secondo quanto conclude Nicodemo Gentile, quello di Liliana Resinovich sarebbe “un delitto di prossimità“, maturato nella sfera “delle più ampie relazioni” della vittima. Per il legale non sarebbe da escludere l’ipotesi di morte come conseguenza di altro reato, ovvero “un omicidio preterintenzionale” che avrebbe necessariamente spinto uno o più aggressori a dover gestire la fase dell’occultamento del cadavere. Tra le righe della consulenza degli esperti incaricati dalla Procura filtrerebbe la possibilità, seppure ritenuta “remota”, che il corpo della donna sia stato “congelato nel periodo tra il decesso e il ritrovamento. “Probabilmente conservato in qualche gelido anfratto, sotterraneo, di cui il territorio del Carso è generoso, per poi farlo rinvenire in quel parco“, aggiunge l’avvocato Gentile. Ennesimo dettaglio che alimenta l’intensità del giallo.