Il corpo di Liliana Resinovich, trovato il 5 gennaio scorso in un parco a Trieste a quasi un mese dalla scomparsa, non avrebbe restituito elementi nitidi in sede di autopsia per dire con certezza che si tratti di un suicidio. Lo sostiene da sempre la famiglia della donna, su tutti il fratello Sergio Resinovich, che continua a chiedere la prosecuzione delle indagini per arrivare alla verità su una morte apparentemente inspiegabile. Secondo i consulenti incaricati dalla Procura non ci sarebbero evidenze dell’azione di terzi, nessun segno di violenza tale da spingere verso lo scenario di un omicidio, ma alcuni lividi sul volto di Liliana Resinovich, e del sangue da una narice, avrebbero instillato nei parenti il sospetto che possa essere stata aggredita. Quarto Grado torna sul caso con nuovi spunti di riflessione.
La consulenza medico legale disposta dal pm per chiarire epoca e cause del decesso di Liliana Resinovich inquadra l’evento morte come intervenuto in una finestra temporale che oscilla tra le 48 e le 60 ore precedenti al ritrovamento del cadavere, ma allora dov’è stata la 63enne, ancora viva, per tutti i giorni – festività natalizie comprese – intercorsi tra la sparizione e l’infausto epilogo? Liliana Resinovich è scomparsa il 14 dicembre 2021 e di lei sembrava essersi persa ogni traccia, fino alla macabra scoperta nel parco dell’ex ospedale psichiatrico triestino. Per Nicodemo Gentile, avvocato di Sergio Resinovich, la relazione aprirebbe una “voragine” anziché colmare le lacune nella vicenda. Il corpo di Liliana Resinovich sarebbe stato rinvenuto dentro alcuni sacchi della spazzatura, con la particolarità di due buste chiuse intorno alla testa con un cordino non troppo stretto. Secondo gli inquirenti, si sarebbe soffocata usando proprio quei sacchetti. Una “morte asfittica tipo spazio confinato (“plastic bag suffocation”), senza importanti legature o emorragie presenti al collo” si legge nel documento prodotto dai consulenti. Ma questa lettura degli eventi non sgombra il campo dagli interrogativi dei familiari della vittima.
Liliana Resinovich scomparsa un anno fa: il giallo è ancora senza soluzione
Mentre davanti alle telecamere si consumano botta e risposta al veleno tra Sebastiano Visintin, marito di Liliana Resinovich, e l’amico “speciale” della donna, Claudio Sterpin (da mesi impegnati in una “guerra” di reciproche accuse, con quest’ultimo fermo nel sostenere che il matrimonio dei due fosse al capolinea), le indagini sulla morte della 63enne continuano. Non si esclude che tutto si chiuda così, nella convizione degli inquirenti che si sia trattato di un suicidio. L’assenza di evidenze di violenza sul corpo della donna avrebbe spazzato via l’ipotesi di un delitto. Ma il fratello di Liliana Resinovich, Sergio, chiede che la macchina investigativa non si fermi.
Ancora troppi gli interrogativi insoluti intorno al caso, ancora tanti i punti oscuri che gravitano intorno alla scomparsa e alla morte di Liliana Resinovich. Pochi giorni fa, il marito della donna è stato convocato in Procura a Trieste per riferire di un gomitolo trovato nell’abitazione della coppia, un reperto che, secondo quanto trapelato, sarebbe composto di un materiale compatibile con il cordino trovato al collo della 63enne. Sebastiano Visintin si dice sereno e avrebbe risposto alle domande degli investigatori per circa due ore, un colloquio che, a suo dire, avrebbe avuto ad oggetto il “ripercorrere le cose già dette“. Ma Claudio Sterpin, anche lui sentito in Procura, continua a insistere sul punto: “Lui sa più di quello che dice“. E le ombre sulla fine di Liliana Resinovich non accennano a dissolversi.