Nella sua ultima testimonianza pubblica, Liliana Segre ha ricordato anche la sua esperienza all’interno del campo di concentramento ad Auschwitz. “Il campo di sterminio funzionava alla perfezione, da anni, non c’era il minimo errore. Cominciammo a capire che dovevamo cominciare a dimenticare il proprio nome, che nella tradizione ebraica ha un significato”, ha ricordato, prima di rammentare anche un altro aspetto molto doloroso, quello relativo al tatuaggio sul braccio. Un numero che ancora oggi riesce a leggere in maniera molto chiara: 75190. “Quando entrai ad Auschwitz non avevo ancora studiato Dante, lo studiai dopo, ed eravamo condannate a delle pene ma non c’era il contrappasso: pensavo di essere impazzita. Non racconto mai tutti i dettagli della mia prigionia”, ha aggiunto durante il suo intervento. C’è stato però un momento ben preciso in cui ha capito di essere molto diversa dal suo aguzzino: “Per un attimo vidi una pistola a terra, pensai di raccoglierla. Ma non lo feci. Capii che io non ero come il mio assassino. Da allora sono diventata donna libera e di pace con cui ho convissuto fino ad adesso”. (Aggiornamento di Emanuela Longo)
LILIANA SEGRE E LE LEGGI RAZZIALI
Liliana Segre è stata accolta da una standing ovation nella tensostruttura allestita alla Cittadella della pace di Rondine, ad Arezzo, in occasione della sua ultima testimonianza pubblica destinata ai giovani. La senatrice a vita ha voluto ricordare ciò che accadde in quel giorno di settembre del 1938, quando “sono diventata l’altra”: “So che quando le mie amiche parlano di me aggiungono sempre la mia amica ebrea. E quel giorno a 8 anni non sono più potuta andare a scuola”, ha ricordato, come riferisce l’agenzia di stampa Ansa. Furono il papà ed il nonno a spiegarle di essere stata espulsa “perchè siamo ebrei” e che a causa delle nuove leggi non avrebbero più potuto avere certe libertà: “Se qualcuno legge a fondo le leggi razziali fasciste una delle cose più crudeli è stato far sentire invisibili i bambini. Molti miei compagni non si accorsero che il mio banco era vuoto”, ha aggiunto. La Segre ha poi spiegato di comprendere perfettamente cosa significa essere respinta in quanto “clandestina”: “Si può essere respinti in tanti modi”, ha commentato.
LILIANA SEGRE, LA SUA ULTIMA TESTIMONIANZA PUBBLICA AI GIOVANI
Durante la sua ultima toccante testimonianza, Liliana Segre ha fatto spazio anche al racconto del periodo trascorso nel lager, dove l’unica cosa in suo possesso era il proprio corpo che continuava a dimagrire a vista d’occhio. “E’ molto difficile, salvo che nei romanzi, formare amicizie perché la paura di morire per un passo falso o un’occhiata, ti fa diventare quello che i tuoi aguzzini vogliono che tu sia: che tu diventi disumana, egoista”, ha raccontato. Per questo dopo il distacco dal padre l’idea di avere un amico la terrorizzava e per paura di perdere ancora qualcosa ha preferito la solitudine. Nonostante le difficoltà, la senatrice a vita ha scelto sempre di vivere, sebbene fosse forse più facile decidere di lasciarsi andare: “Quando si toglie l’umanità alle persone bisogna astrarsi e togliersi da lì col pensiero se si vuole vivere. Scegliere sempre la vita. Io sono viva per caso. Perché tutte sceglievano la vita, poche quelle che si sono suicidate anche se era facilissimo”, ha spiegato. Tuttavia, non ha mai perdonato, ha detto, così come non ha mai dimenticato: “Certe cose non sono mai riuscita a perdonarle”.