Nel film L’imprevedibile viaggio di Harold Fry, l’ottantenne Harold vive da una vita, con la moglie Maureen, in una tranquilla cittadina inglese. Le sue giornate sono fatte di ordinaria quotidianità. Poche parole, tante abitudini, nessuna emozione. Un giorno Harold riceve la lettera di Queenie, un’amica e collega di un tempo, che gli comunica di avere un cancro terminale e di essere curata in un Hospice, a 800 km da casa sua. Harold, scosso dalla notizia, decide di raggiungerla a piedi, per salutarla, per ringraziarla e per regalarle un motivo per combattere e continuare a vivere.
Jim Broadbent è Harold, magnifico protagonista di questo riuscito road movie britannico. Con alle spalle un Oscar come miglior attore non protagonista (Iris – Un amore vero, 2001) e premi a Venezia e Cannes (l’abbiamo visto in diversi film, diretto da Mike Leigh, Woody Allen, Baz Luhrman), il settantaquattrenne Broadbent incarna alla perfezione il ruolo di questo anziano signore, ritirato a una vita ripetitiva e tranquilla, fatta di ristrettezze, piccole abitudini e taciti affetti nei confronti della moglie Maureen, con cui non ha più nulla da dirsi.
In mezzo a questo scenario di dignitosa resistenza, Harold trova improvvisamente lo slancio per un’impresa illogica e sentimentale che stravolge la sua vita e quella della sua famiglia. In questo viaggio assurdo, Harold riscopre il senso della vita, l’importanza delle cose semplici, il calore delle relazioni, il valore del sogno e fa i conti con i fantasmi del suo passato.
Quella che Harold affronta è un’impegnativa sfida con se stesso, innanzitutto fisica, che mette alla prova un corpo decadente, martoriato dal lungo cammino e dalla scarsa abitudine a muoversi a piedi. Una sfida che la regista MacDonald mette in primo piano, accrescendo l’empatia con l’eroe di questa folle impresa. Ma il viaggio è anche un’immane e tardivo esame di coscienza. È la resa dei conti di un brav’uomo che alla fine dei suoi giorni ripensa a chi è stato, alle sue sconfitte, alle sue paure, alle sue fughe, all’immane dolore che ha dovuto affrontare e alla risposta, forse vile ma dannatamente umana, che ha saputo dare in cambio. È il momento catartico della penultima ora, quando qualcosa deve cambiare, quando ti ritrovi indifeso ma motivato, quando sei pronto a partire per un viaggio nell’ignoto, un viaggio che può succedere a ogni età.
L’incredibile viaggio è un commovente inno alla vita, alle sue debolezze e alle sue tragedie che segnano le storie e le famiglie non tanto per la loro intensità quanto per la capacità di affrontarle, e poi magari superarle. Oppure no.
Non è certo un film perfetto quello diretto dalla regista inglese Hettie MacDonald (più avvezza alla tv e al teatro che al cinema) basato sul romanzo di Rachel Joyce, che ne è anche sceneggiatrice. Ma è un film nobile, delicato, riflessivo e al tempo stesso divertente. Con qualche déja vu alla Forrest Gump e qualche storia (delle tante raccontate), poco probabile. Ma si vede con piacere per la sua capacità di sprigionare una profonda empatia nei confronti dell’anziano e di stimolare in qualche modo una riflessione esistenziale, che ci porta in braccio agli altri, nel tentativo di superare tutto quello che, del passato, abbiamo meticolosamente e colpevolmente insabbiato.
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