In merito ai tragici avvenimenti accaduti in questi ultimi tempi (Paderno Dugnano, Traversetolo) e alle numerose analisi che sono seguite, mi sembra che il fatto, la condizione di fondo che risalta, la parola che più può aiutare a comprendere è la parola amore e… il suo contrario, che tanto ci tocca e ci colpisce, cioè l’incapacità di amare.



I lunghi anni che ho trascorso con i “miei” ragazzi de L’Imprevisto – un po’ estremi e difficili, ma certamente espressione della mentalità comune tra i giovani e non solo tra questi – mi hanno aiutato a capire che la causa, forse principale, dell’enorme disagio che vivono è proprio questa incapacità di amare.



Se un giovane, se una persona non sa e non può amare se stesso, gli altri, le cose, la vita, il mondo, sicuramente è pieno di paura, di angoscia, di smarrimento, di depressione, di solitudine, di risentimento, di aggressività, di violenza.

Ciò che fa soffrire – al contrario di quello che vuol far credere tanto psicologismo – non è il passato, non è il dolore subìto o fatto patire, ma è il presente, se nel presente manca una presenza, un ideale, un grande scopo; e fa soffrire tantissimo, sempre nel presente, se non conosco e non capisco la cosa più importante e bellissima che ho: il mio cuore.



Ogni ragazzo sente di avere in petto un cuore che ha tutto, che esplode di desiderio, di attesa, di bisogno così strabordante, ma non sa bene cosa sia,  non sa dare un nome a tutto questo, non conosce chi ha posto nel suo cuore quest’oceano zampillante, non ha vicino amici, amici adulti che lo aiutano a capire quel che gli bolle dentro, che gli dicono che è possibile discernere questo guazzabuglio, che viverlo è un’avventura affascinante e che è possibile affrontarla insieme, che c’è una strada, un cammino, un metodo per percorrerla. Ecco, se tutto questo manca, il ragazzo prima si delude e si sfiducia e, gradualmente, si deprime, si arrabbia, si isola, diventa aggressivo, si fa del male, si ammala.

Sì quello che più fa soffrire è avere un cuore grande grande, che vuole tutto e… essere soli: non vedere mai spuntare all’orizzonte qualcuno che ti viene incontro e che ti dice: ti aiuto io, proviamo insieme, io un’ipotesi, delle idee le ho. Quello che più fa soffrire è avere un cuore che ha tutto e non riuscire, non potere, non saperlo usare al massimo (per questo traguardo, il desiderio della performance, cioè il desiderio di arrivare primo, di essere all’altezza del proprio cuore – e magari anche del cuore di Dio –  è giustissimo e ammirabilissimo!).

Un’altra significativa consapevolezza ho imparato dal lavoro che svolgiamo con i ragazzi: l’incapacità di gridare, di chiedere aiuto e di gridare. Avere in cuore tutto e tanto e non poterlo e non saperlo dire è un grande, vergognoso, umiliante disagio. È la povertà più lancinante. Avere tutto e non saperlo, non goderlo, non poterlo dare a niente e a nessuno. De André lo aveva intuito: “Tu prova ad avere un mondo nel cuore e non riesci ad esprimerlo con le parole”. Ma non c’è bisogno di esser poeti e cantautori per capirlo. Ha detto Pasquale, un mio vecchio ragazzo: “La cosa che più fa soffrire è avere una morosa che tu ami tantissimo e… non sai dirglielo, non sai dirle il perché”.

Ai ragazzi delle nostre comunità lo dico, apertamente, direttamente: “Guarda, stai attento, non è tanto il papà, la mamma, la malattia, la miseria, la separazione, la fragilità, la mancanza di questo o di quello; è che non conosciamo l’amore, non sappiamo amare. Impariamo cosa è la vita, l’amore, impariamo a chiederlo. La vita non è questione di riuscita, di successo, di fortuna, non è l’esito della nostra capacità; se fosse questo sarebbe piccola, misera, perché io sono piccolo e misero. La vita è un grido, è il grido del mio e del tuo cuore. Impariamo a gridare, aiutiamoci a gridare. Tutto quello di cui il nostro cuore ha bisogno c’è e lo possiamo gridare, possiamo chiederlo, lanciarlo lontano, in alto, possiamo domandare, invocare, implorare, supplicare, pregare” (parole queste ultime che quasi  ci vergogniamo a usare, ma quanto sono belle, struggenti!).

Infine aggiungo: “Non sappiamo amare per tre motivi, perché non abbiamo consapevolezza e contezza di tre grandi cose, quando le sapremo il nostro cuore esploderà, abbraccerà tutto e tutti, perdonerà ogni avversità, amerà chiunque, apporterà anche un mattone importante per la pace in Medio Oriente e in Ucraina. Le tre grandi cose sono: il valore della persona; il valore della realtà (della vita); il motivo per cui siamo al mondo.

Il valore della persona. Spesso fermo un ragazzo e gli rivolgo la domanda: “Qual è la cosa più bella, grande, preziosa ammirabile del mondo, dell’intero universo?” Nessuno risponde: “Io, sono io quella cosa, la mia persona!”. Ognuno di noi dovrebbe rispondere così, soprattutto noi adulti.

Il valore della realtà. Domanda: “Cosa dici della vita?”. I ragazzi rispondono: “La vita è tutta una merda, uno schifo, una fregatura, non c’è niente che valga la pena…”. Io mi arrabbio tanto, con voce alta e ferma dico: “Non è così, non può essere così, in fondo non lo credi nemmeno tu. La vita è colma e sovrabbondante di grazia, colma di doni, di opportunità, di incontri, di aiuti, di persone buone; nella realtà c’è una forza, un’energia, una Presenza, un Volto, la cosa grande è vedere, incontrare, conoscere questo Volto, ancor più è essere visti, incontrati, conosciuti da questo Volto. Certo, nella realtà c’è anche il male, il limite, il peccato, la morte, ma il bene è sempre più grande di qualsiasi grande male!”.

Il motivo per cui siamo al mondo. Domanda: “Il motivo per cui tu sei al mondo?”. “Nessuno, non c’è”. “Non è così, non può essere così! C’è, ci deve essere, senz’altro. Cerchiamolo, insieme, cerchiamolo gridando dal più profondo del cuore”.

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