La povertà più grande, la ferita più dolorosa per un giovane è non saper domandarsi il perché dell’esistenza, la ragione dell’essere al mondo. I ragazzi vivono l’esperienza di una vistosa perdita di umanità per non saper e poter aprire gli occhi, guardare la realtà: è la “trascuratezza dell’io” di cui parlava don Giussani.
L’avventura, la riscossa più esaltante allora per un ragazzo è quella di scoprire, riscoprire sé stesso: sé stesso e la vastità, l’immensità della vita, del mondo, della realtà. Vedere, incontrare, sperimentare – grazie, per tramite, insieme a genitori interessanti, a preti autorevoli, ad una scuola appassionata, ad adulti significativi – una commozione così struggente e penetrante, così mobilitante che lo porti, lo conduca verso una capacità di abbraccio, di affronto, di impegno sempre più desiderato. Una commozione ed una compassione da sempre attesa e desiderata e da sempre considerata il bisogno più grande per essere, per poter essere, per poter esistere.
La verità, il centro infiammato, incandescente del cuore di ogni ragazzo è sicuramente il desiderio che non abbia a sentire nessuno e niente come estraneo, di poter e saper vivere tutti e tutto come un inaspettato e immeritato dono e perciò poter sperimentare, offrire una responsabilità davvero fruttuosa.
Non è affatto e mai vero che i giovani sono quello che mostrano: che non valgono, che si oppongono, non ascoltano, fanno chiasso, sono cattivi, smidollati, violenti. Non è mai stato vero!
La struggente commozione e compassione permette al ragazzo di vivere l’umiltà (Dio solo sa quanto i giovani attuali ne hanno bisogno!). Cioè riconoscersi piccoli, fragili, bisognosi, vulnerabili, poveri. Come può altrimenti il giovane scoprire l’enorme cifra di irriducibile mistero di cui è fatta la vita e il mondo? Non si tratta di carpire chissà quali e quanti meccanismi e tecniche per conseguire risultati e acquisizioni: questo sì rappresenta la vera droga, la dura prigione nelle quali si cacciano i ragazzi d’oggi. Il limite, la fragilità, gli errori sono preziosi e utili; anche il rischio e l’imprevedibilità fanno la maestà della vita, la sontuosità della realtà.
I ragazzi ascoltano e comprendono se hanno chiaro che la cosa più bella e affascinante è cercare, scoprire, capire, abbracciare quell’infinito mistero di cui è colma la vita, che con la sua bellezza inonda l’intera esperienza umana; se imparano a guardare, a stare attaccati a quel fluire inatteso e invisibile, a non temere, a non aver paura. A scoprire, cercare, capire che il fatto, la presenza, l’avvenimento più grande di questo mistero è la persona di ogni ragazzo.
Il ragazzo che intuisce questo sente e capisce che la sua persona e l’esperienza che vive sono utili per il mondo, per il bene degli uomini.
Occorre che i giovani possano, riescano a darsi, ad offrirsi agli altri, capaci di accogliere, di aprire il loro cuore a tutto il bene, a tutto il bisogno del mondo. A pensare, vivere gesti, momenti eroici, situazioni di grande sacrificio, altrimenti la vita non è bella. Offrire, concedere il proprio volto per vedere, incontrare, aprire gli occhi del cuore sul volto dell’altro. Altro che il distanziamento, l’isolamento, la mascherina! Per rischiare, per buttarsi nella realtà, per cimentarsi, vivere il coraggio, la lotta del vivere, per scommettere su tutto e tutti.
Adoperiamoci, aiutiamoci affinché i giovani non abbiano più a fuggire, a nascondersi, ad auto imprigionarsi, auto lesionarsi, a soccombere. Possano e sappiano invece guardare per destarsi, per accorgersi, per lasciarsi interpellare e ferire dalle situazioni e scoprire, ammirare gli infiniti segni e tratti di straordinaria, impensabile, sovrabbondante bellezza.
Affinché possano esserci. Arrivare, giungere sulla scena della vita, presentarsi, proclamare, acclamare la loro presenza, la persona di ognuno e di tutti loro.
Esserci per stare con sé stessi e con tutti. Perché gli altri sono dati, sono un bene sicuramente prezioso, sono dati a te, ragazzo, proprio a te. Con uno scopo, una ragione, per un’avventura importante, eterna.
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