Il 1° ottobre, in occasione della festa per il 29° anniversario de “L’Imprevisto” di Pesaro, prima della celebrazione della Santa Messa con l’arcivescovo Piero Coccia, Silvio Cattarina ha svolto un intervento del quale riportiamo alcuni brani.

Sono 29 anni di attività de L’imprevisto (ci avviciniamo ai 30, io personalmente ai 40) e desideriamo essere ancora pronti a cambiare, a rinnovarci. Non solo a motivo della “situazione esterna” (nuove droghe, cambiamento del fenomeno, “ritiro sociale” dei giovani, gioco d’azzardo, dipendenza dalla rete…). Ma sempre e ancora per l’imponenza dell’avventura (aiutare delle persone, dei ragazzi e i loro genitori) e per l’enormità del compito (affrontare, toccare piaghe così profonde).



Non siamo arrivati, c’è ancora tanto da imparare, da guardare.

Vogliamo continuare ad essere educati – si genera se si è generati -, proseguire a lasciarci ferire dai ragazzi e dalle loro storie.

La vita, il dolore, le ferite, il bene e il male, il cuore dell’uomo… tutto questo è il mistero più interessante di tutto l’universo: si può dire che il problema più grande dell’universo è la mia esistenza, l’esistenza di ogni persona! Il punto più alto e nobile dell’Universo è l’irriducibilità dell’io.



Allora il frutto più bello dell’Imprevisto sono certamente i ragazzi e le ragazze, ma anche me, la mia persona, le nostre persone, le persone dei miei colleghi e collaboratori. L’imprevisto non ha “fatto” solo i ragazzi ma – durante tutti questi lunghi e bellissimi anni – anche noi, ha tirato su, ha cambiato anche me, anche noi.

Chi avrebbe mai pensato che questa esperienza diventasse così importante, così nota, così guardata, studiata.

Merito di tanti – don Gianfranco Gaudiano, Gianfranco Sabbatini, Maria Pia Gennari, suor Francesca Leonardi -, di tutti voi.

Importanza, notorietà, in tanti siamo chiamati in giro a parlare, ma la cosa più importante in assoluto che abbiamo scoperto – durante il quotidiano lavoro effettuato con i ragazzi nelle comunità – è che i nostri nomi sono scritti in Cielo. Quello che sommamente mi e ci interessa è questo.



Abbiamo fatto tanto, avendo servito molto e molti. È successo tanto, avendo servito tantissimi, essendoci piegati ad un servizio – servire perché altri diventino protagonisti.

Di fronte a tanta apatia, a tanta rassegnazione e passività, di fronte all’egoismo eretto a sistema, alla paura (ormai unica grande compagna di viaggio nelle nostre esistenze), noi vogliamo e testimoniamo un altro modo, un altro metodo: un cuore commosso, un incontro commovente, e la disponibilità a guardare con tenerezza l’umanità di ognuno.

Non capisci se non patisci (con l’altro, con i ragazzi).

Vogliamo continuare ad avere sete, una grande, infinita sete.

No alla sclerocardia, l’indurimento del cuore. Il dramma sarebbe non sentire più niente, né il dolore né la gioia. Diventare insensibili, come tanta burocrazia vorrebbe trasformarci. Insensibili, cioè non rendersi conto di cosa brucia nel cuore dei ragazzi.