Giorgio Napolitano ha una storia di uomo di cultura e di uomo di sinistra. Ora, da presidente della Repubblica, non può dimenticare se stesso. E quando guarda alla scuola vi scorge quella che lui stesso ha chiamato “emergenza educativa”. Così, all’apertura ufficiale dell’anno scolastico, in presenza del ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini, senza intervenire sullo specifico dei suoi provvedimenti, le ha dato ragione.
1) La scuola ha bisogno di «scelte coraggiose di rinnovamento: non sono sostenibili posizioni di pura difesa dell’esistente».
2) «Non si tratta di ripartire da zero ogni volta che con le elezioni cambi il quadro politico».
3) «Dialogo! Esprimo l’augurio che questo sia il clima nel quale possa svilupparsi il confronto politico, nelle sedi istituzionali, sui problemi della scuola».
4) Taglio dei costi: «l’Italia, per gli impegni assunti in sede europea nel suo stesso vitale interesse, deve ridurre a zero nei prossimi anni il suo deficit pubblico per incidere sempre di più sul debito accumulato. Nessuna parte sociale e politica può sfuggire a questo imperativo; ed esso comporta anche, inutile negarlo, un contenimento della spesa per la scuola… Questo deve invece tradursi nel massimo sforzo sul piano della razionalizzazione e del maggior rendimento della spesa per la scuola, sul piano del sostanziale miglioramento della sua qualità».
Interessante. Essendo un monito super partes, per la stessa natura dell’istituzione da cui proviene, è utile per spazzare via la polemica politica pretestuosa e concentrarsi sui contenuti.
Provo a declinare con pacatezza.
(1) Il coraggio di rinnovare. Oggi il sistema scolastico italiano è quello più conservatore del mondo: avendo bloccato il merito, si è finito col favorire lo status quo sociale; per usare una metafora della sociologia, l’Italia è il Paese con l’ascensore bloccato. Occorre rimetterlo in movimento. Credo che questa crescita della movimentazione sociale, questa crescita della possibilità di migliorare socialmente – ma non è solo miglioramento sociale, è la possibilità di una pienezza nella crescita – sarà possibile con una sana concorrenza tra le proposte educative e tra le istituzioni scolastiche, sia a carattere statale, attraverso l’autonomia, sia a carattere non statale, rendendo operativo quell’impianto di parità scolastica che già aveva voluto Berlinguer, e che è stato votato dal Parlamento, ma non attuato. Così come si è votato per il federalismo senza finora tradurlo in atti con il federalismo fiscale.
Il decreto Gelmini è in questa direzione. Non è una riforma. Non si ripromette grandi cose. Non ha la pretesa di ripartire da zero smontando quanto fatto in precedenza (2). Mette l’occhio sullo scopo della scuola. Senza enfasi retorica, ma puntando su alcuni semplici strumenti che dicono come la scuola sia una cosa seria, e la questione centrale non sia l’accumulo di saperi e competenze (anche, ovvio), bensì la serietà dinanzi al destino. La vita è un caso serio, non lo dice più nessuno. O se lo si dice, poi nella pratica vince il lassismo. Ecco che allora il voto in condotta, l’educazione civica, il maestro unico o prevalente, soprattutto, sono fatte per restituire peso alla disciplina e all’autorità. Non da intendersi come forme vuote, ma dentro un cammino di crescita. Il maestro prevalente vuole essere una maniera per ricomporre la frammentazione del significato, per rimediare all‘incapacità di individuare quelle figure di adulti capaci di accompagnarti lungo una strada che porti a un destino buono. Il primo punto da recuperare è allora il compito della scuola. La scuola serve a questo, alla serietà dinanzi al destino.
A proposito del dialogo (3) richiesto da Napolitano. L’opposizione è arrivata a chiedere al Parlamento di votare l’incostituzionalità dell’insegnamento della Costituzione. È una miseria logica, e non è neanche male per la dialettica marxista questa capacità di dire tutto e il suo contrario, pur di ottenere lo scopo prefisso da parte delle avanguardie. Poi si è proceduto di allarmismo in allarmismo al quadrato e poi al cubo. Un ministro ombra (Picierno) è giunta a parlare del decreto come di un «disegno criminale». La prima protesta realizzata a Roma dai maestri e dalle maestre cigiellini è stata l’esibizione del lutto, per segnalare la volontà di uccidere la scuola da parte del governo.
La riduzione dei costi (4). Realismo, serietà, educazione è anche eliminare gli sprechi. Denari versati senza controllo è, in un regime di monopolio, la garanzia di una qualità peggiore. Qui occorre chiedere al governo il coraggio per risparmiare sul serio, di rendere effettiva la concorrenza nella scuola garantendo la possibilità ai genitori di scegliere. L’eliminazione del monopolio statale della scuola proporrebbe modelli gestione di primarie e secondarie dove si spende meno e si insegna meglio. Le scuole libere inserite in un sistema scolastico paritario nella sostanza avrebbero risultati di crescita della qualità e di razionalizzazione dell’investimento nel famoso capitale umano, che sono poi le persone.