Il decreto Gelmini sulla scuola è passato, per ora alla Camera, con il voto di fiducia. Giusto così? Certo che sì. Se c’è emergenza educativa, lo dice la parola stessa, l’urgenza degli interventi per sostenere un processo positivo, è quasi una tautologia. Sfioro appena la questione di metodo che sta dietro le proteste sull’uso di questo strumento. Non è affatto vero, come sostengono le opposizioni, che non sia stato possibile lavorare in Parlamento sui contenuti. In Commissione cultura e istruzione ci sono stati centinaia di emendamenti nel merito, preceduti da dibattiti sulla idea di scuola e di educazione sin dal mese di giugno. Sembra poco? Le proposte del ministro si sono scontrate, quando dagli alti cieli sono scese sulla terra, con un pregiudizio tremendo e ossessivo. Si è continuato a sostenere che l’unico intento della Gelmini fosse di fornire copertura con il grembiule e riccioli con l’educazione civica all’unica sostanza: cioè tagliare, licenziare, quasi punendo gli insegnanti e le famiglie dei bambini. Per cui il vero artefice del decreto sarebbe Tremonti. Verrebbe voglia di dire: e allora? Tremonti ha dimostrato di essere un uomo di cultura tra i più lungimiranti rispetto al destino della nostra Italia. Se ha lavorato con la Gelmini, tanto meglio. Tremonti non vuol dire tagli. Ma applicare ai conti del Paese le regole del buon padre di famiglia.
Il fatto è questo: che la sinistra italiana, in particolare il Partito democratico, si è gettata con furia contro la Gelmini non per difendere gli studenti ma per tutelare il loro leader, che ha bisogno di un terreno dove poter spostare masse urlanti. E la scuola è sempre stata un buon terreno per battaglie politiche esterne alla scuola stessa e al bene dell’educazione.
Così stavolta. Per non affrontare i problemi veri della scuola italiana si è disposti a tutto, persino a mettere a tema la scuola: però per finta.
Così negli accenti uditi ieri alla Camera non si è affermato un contenuto positivo, ma solo il contrasto, la contrapposizione. Elementi interessanti si sono ascoltati nell’intervento dell’onorevole Santolini dell’Udc, ma resi aspri dalla logica politica tutta tesa a negare la fiducia al governo.
Ribadisco qui i punti che mi inducono a ritenere positivo il decreto Gelmini.
1) La semplicità. Ci sono poche cose, molto chiare. Mariastella Gelmini non ha voluto proporre una riforma – lo ha ripetuto spesso – ma aggiustare, sistemare, riordinare quel che bastava per mettere al centro della Scuola non lo Stato, e neanche i problemi sociali: ma chi nella scuola va educato. L’alunno e poi lo studente.
2) L’idea di educazione. Qui siamo al centro del decreto. Il maestro prevalente. Non unico. Non si vuole eliminare l’insegnamento dell’inglese o dell’informatica, con il docente specifico, anche se è bene possa magari essere lo stesso insegnante dominante ad attrezzarsi al riguardo. Certo: questo provocherà risparmi. Libererà risorse in un bilancio per la scuola dove gli stipendi si prendono il 96,98 per cento del budget. Il maestro prevalente obbedisce – ed è stato ribadito dal ministro, dal Pdl ma anche dalla Lega e, fino al momento del voto, dall’Udc – ad una concezione per cui l’educazione si fonda su un rapporto personale forte. I maestro modulari (tre ogni due classi, spesso di dieci alunni ciascuna) sono stati imposti per ragioni sindacali e di welfare (occupare giovani laureati) ma anche a causa della pedagogia del doppio o triplo punto di vista da proporre ai bambini, così che possano crescere nel dubbio…
3) Il principio di autorità. Il voto in condotta non è il toccasana contro il bullismo, ovvio. Ma fornisce uno strumento che permetta al ragazzo e alla famiglia di riconoscere in chi lo impugna un’autorità. Autorità nel senso etimologico di qualcuno che parla con certezza di che cosa sia il bene e il male, e su questa base chiede la disciplina.
4) L’educazione allo stare insieme. Si chiama Cittadinanza e Costituzione, nel decreto. Va intesa non come una sorta di educazione statale neutra. Ma la comunicazione dei caposaldi della vita comune. Anche qui: con semplicità. Il rispetto reciproco, la cura di chi è diverso, ma anche il non sporcare i muri. L’alzarsi in piedi quando in classe entra un adulto. E così via.
5) Il voto in decimali. Serve a ripulire dagli psicologismi e dagli sforzi espressivi spesso poverissimi i giudizi sull’italiano e la matematica.
Dinanzi a tutto questo l’opposizione sostiene che in tal modo si uccide la scuola, si toglie il tempo pieno, si licenziano i maestri. Tutte cose fasulle. Propaganda pura. Le famiglie potranno scegliere se lasciare i figli 24 o 27 o anche 40 ore a scuola. Non si capisce perché opporsi alla libertà di scelta. Possibile che tutti debbano essere inquadrati per inviare i figli a farsi indottrinare dalle scuole progressiste, che poi fanno progredire solo l’ignoranza?