Il dialogo non c’è più. Lo ha ufficialmente dichiarato chiuso Walter Veltroni. Il problema è: quando finisce il dialogo cosa c’è? Escluderei il silenzio. Il contrario del dialogo infatti non è lo stare zitti, ma la guerra verbale. Letteralmente. Il contrario del dialogo è – ripeto – la guerra civile verbale, che ci tiriamo dietro da troppi anni per non esserne stufi.
Chi ha chiesto di sbarrare le porte ad un confronto sereno, magari duro, ma dentro un contesto di ascolto reciproco? E perché Veltroni ha obbedito a questo invito?

1. Il primo a domandare a Veltroni di mutare il suo atteggiamento è stato l’Economist. Avevamo denunciato proprio qui, su ilsussidiario.net, il significato dell’interferenza di una potenza estera quale è a tutti gli effetti il settimanale britannico. Rappresenta infatti i poteri finanziari sovrannazionali, i quali sin dal 1992 hanno cercato di destabilizzare il nostro Paese appoggiando il sisma di Mani pulite e la demolizione dei partiti non comunisti e di larga base popolare.

2. Dopo l’Economist è arrivato l’invito perentorio di Repubblica, per la penna di Eugenio Scalfari. Il quale ha ordinato a Veltroni di mettersi di traverso a Berlusconi, rinunciando a qualsiasi incontro per riformare insieme lo Stato. Il tutto e come sempre per ragioni di “morale”.

3. Infine, decisivo, è stato l’intervento della magistratura nel suo organo sindacale (Associazione nazionale magistrati) e in quello di autogoverno (Consiglio superiore della magistratura). Dichiarando una guerra preventiva, hanno infranto le regole della Costituzione pur di dichiarare incostituzionale quel che il Parlamento non aveva ancora discusso.

Veltroni ha accettato i diktat perché non ha la forza culturale e politica per resistere a questi poteri finanziari e culturali che non vogliono porre termine agli anni del disfacimento programmato del nostro Paese.
Tutto male dunque? Gelata per sempre la primavera di dialogo che si era respirata il 13 maggio, giorno della discussione sulla fiducia? I tempi sono amari. Le pressioni perché riprendano le logiche della giungla sono formidabili e purtroppo dall’alto stanno coinvolgendo anche la cosiddetta base. Si ripropongono girotondi, tornano le urla di chi ritiene demoniaca la figura di Berlusconi. Rispetto al passato però la gente-gente non sembra sensibile ai discorsi di sempre. Vuole vedere all’opera questo governo, che sta riscuotendo consensi imprevedibili anche solo tre mesi fa.

Non è solo questo che incoraggia. Esiste una realtà politico-parlamentare che procede, ed anzi si incrementa, incurante dei moniti delle piazze finanziarie e giudiziarie. È l’intergruppo per la sussidiarietà. Non è semplicemente una struttura dove confluiscono esponenti di schieramenti diversi e avversari: è il luogo dove si sperimenta un metodo di confronto sulle proposte, si converge nella pratica; e il dialogo non è semplicemente un modo gentile per discorrere, ma è un rafforzarsi reciproco nell’ideale di far crescere la società. Non è un funghetto nel boschetto, come nelle favole. È un nocciolo duro di persone che sono legate a realtà vive e che si riconoscono l’un l’altro come espressione di qualcosa che è più grande della politica, ma chiede alla politica la possibilità di esistere e di crescere nella libertà. Non sto qui esprimendo un pensiero edificante: da parlamentare partecipo di questo gruppo, ed è così, e ne sono stupito. C’è un’amicizia più forte dei niet. Finché c’è questa esperienza, c’è un po’ di luce in questa politica dove vogliono comandare poteri assai poco democratici.