Ci vorrebbe una vignetta di Guareschi per ritrarre la mossa finale di Walter Veltroni per Alitalia: «Contrordine compagni!». Merita di certo molta ironia. Ma è un segno, seppure tardivo, di resipiscenza. Il premier ombra ha scritto una lettera a Berlusconi composta di due parti. Nella prima gliene dice di tutti i colori. Sostiene che il disastro della Compagnia di bandiera è dovuto agli errori del Cavaliere e del suo governo fino al 2006. Ignora le assunzioni clientelari praticate tra il 1998 e il 2001, governi D’Alema e Amato: circa tremila assunti senza necessità, nessun rinnovo della flotta aerea. E salta a piè pari il disgraziatissimo periodo del governo Prodi: due anni in cui si sarebbe potuto bloccare la catastrofe. Questa è politichetta.



Poi si offre di dare una mano. Tre strade. La prima, e non è un caso, è un atto implicito di accusa alla Cai. Infatti, soprassiede alle incresciose manifestazioni di corporativismo giubilante alla faccia dei povericristi messe in scena a Fiumicino, e chiede a Colaninno & C. di fare «un passo in avanti verso le posizioni espresse dai sindacati, come le indubbie condizioni di vantaggio ad essa offerte dal decreto del governo consentono e richiedono».



La seconda: «ci si attivi per riprendere i fili di quei negoziati con soggetti esteri».

Infine: «il commissario, in rappresentanza di Alitalia, e su preciso mandato del Governo, concluda immediatamente e positivamente una intesa con tutti i sindacati consentendo così poi a CAI e/o a compagnie aeree straniere di acquisire Alitalia, garantendone la sopravvivenza».

Come ha risposto il ministro Sacconi è la banalità allo stato puro, filosofia alla Catalano, scoperta dell’acqua calda.

Segnala però quanto segue: Veltroni è consapevole che l’elettorato (non parliamo di opinione pubblica perché non si sa più bene che cosa sia) ha identificato i colpevoli della situazione attuale nei sindacati. Anzi in un sindacato grosso più alcuni gruppetti di estremisti: la Cgil che si è rivelata serva non degli interessi dei lavoratori ma della volontà del tanto peggio tanto meglio. E tutti sanno che Epifani e Veltroni sono una cosa sola, stessa cipria, stessa idea vecchissima di sindacato impigliato in disegni politici, incapace di concepire l’idea di bene comune.



Veltroni vuole uscire da questa immagine negativa. La gente che lo ha votato ci tiene come tutti a volare in condizioni di sicurezza e di puntualità. Non ha capito questa volontà di fornire continuamente alibi ai sindacati per dire di no e far precipitare le prospettive di rinascita nella Geenna delle buone intenzioni.

Detto questo. C’è un dato importante. Veltroni ha mostrato di rendersi conto che è la pancia del Paese a volere che non si ostacolino i tentativi del governo e degli uomini di buona volontà per consentire alla nostra patria di rialzarsi. Non è più disposta, e forse non lo è in realtà mai stata, a sacrificare il proprio calante benessere sull’altare di una disfida tra politicanti. L’antiberlusconismo non paga più, o paga poco. È sufficiente appena per fare crescere un partito forcaiolo come quello di Di Pietro al dieci per cento.

Dunque, sia pur tardivo, benvenuto Veltroni nel club di chi prova a sacrificarsi per il bene comune. Ha la possibilità di esercitare una seria moral suasion specie sulla Cgil, che non è il caso si riscopra proprio adesso bizzosamente autonoma dall’antica casa madre. Contrordine compagni! Non vale più la logica denunciata da Eduardo De Filippo in “Napoli milionaria” quando il padre ruba i maccheroni al figlio e teorizza cinicamente: “Vuò sapè ‘a verita? Arruobbe tu? Arrobbo pur’io! si salvi chi può!”. Se si ragiona così si muore tutti.