Caro direttore,

Com’è forse noto a qualcuno, non sono considerato un campione della libertà di stampa. Non riesco a fingere e a parlare in astratto. Nei giudizi risento della mia esperienza. Dunque lo confesso. Sono contrario a prescindere alla manifestazione per la libertà di stampa, prima ancora che affrontarla nel merito, perché a indirla e poi a organizzarla, quindi a farcene sopra un battage assordante sono quelli che io sento come miei persecutori.

Il sindacato unico dei giornalisti, quando ero disoccupato dopo la chiusura del Sabato nel 1993 non indisse nemmeno un minutino di solidarietà per noi giornalisti cattolici di serie B. Quando ero a Libero, dopo un mesetto dalla nascita di questo quotidiano che pure aveva creato, grazie a Feltri, una quarantina di posti di lavoro, ci augurò di chiudere. Quindi quando venne fuori la storia della mia collaborazione al Sismi per ragioni che non sto ora a difendere, ma che ancora rivendico, fui appeso per i piedi a prescindere dai suoi capi, tuttora in sella. Essi protestarono quando ritennero troppo mite una sospensione di un anno, e insistettero per la radiazione, che fu infine accordata nonostante mi fossi dimesso dall’ordine. Repubblica poi non ha cessato per un istante di inseguirmi con accuse assurde. Mi ha sbattuto in prima pagina per un mese, pubblicando le mie telefonate anche private, interpretate in vista dei loro scopi politici, indifferenti al fatto che avrebbero distrutto una persona. Non ci sono riusciti. Non è che abbia una gran tempra, ma i miei amici sì. Dunque credo che la battaglia di questi signori per la libertà di stampa somigli molto alla loro faccia di bronzo. Dimmi chi ti convoca e ti dirò perché. Ecco, chi ci convoca è gente che fa del male alle persone per un calcolo politico.

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Così in questi mesi – e non c’è alcun paragone con le mie vicende – costoro (Fnsi, Federazione nazionale della stampa) e Repubblica sono stati solidali in una campagna di destabilizzazione del sistema e di denigrazione dell’Italia all’estero puntando il mitra contro la vita privata delle persone, spiattellata e vilipesa a prescindere dai mezzi utilizzati per disgelarla nei punti in cui faceva comodo.

Io non ci sto. Una libertà di stampa così è veramente una roba da farabutti, e non mi importa se copio la formula da Berlusconi, perché è una descrizione perfetta della realtà di briganti che caratterizza oggi il potere, il quale è anzitutto potere sulla coscienza e dunque si gioca sull’informazione. E qui vince, anzi stravince come occupazione del territorio, come mentalità dominante armata di bazooka la casta vera, assai più potente della politica. Ed è quella della finanza svizzera e inglese, di cui De Benedetti è forte rappresentante, nonché padrone del gruppo più influente storicamente negli ultimi decenni, quello di RepubblicaEspresso, con vasta rete di quotidiani locali, e penetrazione straordinaria nelle televisioni, ma anche e soprattutto nella testa dei giornalisti dovunque essi lavorino. Infatti – è risaputo – le scuole di giornalismo hanno per direttori e professori gente di sinistra, orfani dell’Unità, pensionati di Repubblica o di una Rai consacrata alla sua storia secolare di compromesso storico. Chi ne esce e viene assunto ha questa testa qua, non è colpa sua, ma si capisce benissimo che tende dalla parte del vapore di sinistra.

E allora come si fa a stare con loro? Per me è impossibile, ma credo sia buon senso per tutti augurare ogni fiasco a queste quinte colonne di una democrazia tradita.