L’ultima scoperta annunciata nel campo della genetica è una vera diavoleria. Proprio in senso etimologico. Diavolo viene da “dia-ballein”, separare, dividere, spezzare. E che cosa c’è di più distruttivo, frantumante della natura umana che separare completamente il nascere di un bambino da qualsiasi padre o madre umani?
Questo è quanto annuncia il tabloid Mail citando la rivista Nature: la ricerca condotta alla Stanford University darebbe la possibilità di ottenere sperma e ovuli dalle cellule staminali. Insomma, questa scoperta implicherebbe la possibilità di generare bambini con macchina e alambicchi, cioè facendo a meno dei genitori. Naturalmente, per il momento, tutto questo è troppo scandaloso per essere digerito dall’uomo comune. Ed ecco allora all’opera, dopo il genio delle staminali, il genio del marketing. Si cerca di mostrare come tutto questo in fondo sia buono e giusto, perché – in attesa di arrivare a quell’esito favoloso (e orrendo) ma un pochino eticamente dubbio – intanto grazie a queste tecniche si può coadiuvare la terapia contro la sterilità.
I ricercatori avrebbero individuato il giusto mix di vitamine e componenti chimiche da far interagire con le cellule staminali per trasformarle in ovuli e sperma. Gli spermatozoi così ottenuti, dice la rivista, hanno la testa e la coda più piccola di quelli naturalì ma sembrano comunque in grado di poter fertilizzare un ovulo.
Interessante: per aiutare la lotta contro la sterilità si usano cellule da embrioni. Si ammazzano esseri umani sia pur microscopici per consentire a qualcuno che è sterile di sperare di generare lui embrioni che magari invece di vagire dopo nove mesi, saranno anch’essi fatti a polpette per la salute di un altro pirla di maschio.
Scusate il linguaggio aspro. Ma la realtà deve pur essere comunciata con parole abbastanza furenti. Qui siamo ben oltre la fecondazione artificiale. In quel caso la riproduzione è semplicemente scissa dall’atto d’amore, ma il seme e l’ovulo restano comunque di un maschio e di una femmina identificabili, con un nome e un cognome. Qui siamo alla scienza che partorisce come se fosse Dio le sue creature.
Nella cultura classica, ben prima cioè del cristianesimo, questa pretesa di sostituirsi a Dio, di rubargli il fuoco della creazione, era chiamata “ybris”: ossia l’empietà, la rinuncia alla pietà che nasce dal rapporto tra un padre e un figlio.
Noi lo sappiamo bene cosa diranno gli scienziati di questa avanguardia mostruosa.
Sosterranno che l’uomo ha non solo il diritto, ma anche il dovere di andare oltre le colonne d’Ercole del vecchio sapere. In realtà questo non è un “andare oltre”, bensì un “andare contro”. Significa annichilire il senso della dipendenza che chi nasce ha dal padre e dalla madre. L’uomo diventa esperimento di se stesso.
Si sosterrà anche che poi resta comunque la libertà o meno di fruire di questi metodi, non sono mica obbligatori. Peccato che chi da questi strumenti eventualmente dovesse venire al mondo non l’avrà scelto. Nascerà non secondo natura, ma sulla base di protocolli di qualche imbecille gonfio di premi Nobel, e grazie a questi tizi diabolici gli sarà imposto un peso psicologico ed esistenziale che nessuno mai nella storia umana ha avuto. Ci sono stati molti casi infatti di bambini che non hanno conosciuto padre e madre, molti sono stati uccisi dal padre o dalla madre, oppure abbandonati. Non era mai successo che la fonte paterna e materna fosse occlusa in origine.
Resta un fatto però, quand’anche leggi assurde lo consentissero, o comunque qualcuno mettesse in pratica questi marchingegni diabolici per “fare un bambino”; resta il fatto che chi dovesse nascere anche in questa maniera abominevole sarebbe “fatto”, non costruito da sé, ma dipendente, bisognoso d’amore. Non un mostro ma pienamente uomo. E da uomo distruggerà quelle macchine che volevano sostituirsi al suo desiderio di essere figlio di una donna e di un uomo.