Sulla pensione alle donne prevale l’astrazione. Si parla di uguaglianza. Dunque, se gli uomini è giusto vadano in pensione come minimo (io lo penso, salvo eccezioni da mestieri pesanti) a 65 anni, idem dev’essere per le signore. I numeri sono molto espressivi. Si risparmierebbe un tot di miliardi di euro. Inoltre: in Europa si fa così. Interviene Emma Bonino: andare a lavorare è un privilegio.

In questo quadro, ho visto una luce di saggezza nel discorso di Umberto Bossi: «Scelgano le donne».

Concordo.

Dove vivono, in quali castelli da fiaba passano le loro giornate, quelli che sostengono che le donne in pensione qualche anno prima degli uomini è un lusso che non ci possiamo permettere? Io credo sia vero esattamente il contrario. E cioè far rientrare solo dopo i sessant’anni le rappresentanti del sesso femminile sia qualcosa di dannoso per il sistema sociale.

Mi spiego.

Che cosa fanno le donne dopo i 55 anni? Alcune stanno a far niente, e girano per lo shopping. Quante sono? Un due o tre per cento. Le altre lavorano più che mai proprio quando non vanno più al lavoro. Curano i nipoti, causando in tal modo un risparmio allo stato nell’ordine di migliaia di miliardi in costi di asili nido e consentendo alle giovani mamme di non fare una vita del tutto infernale tra pappe e cartellini da timbrare. Oltretutto la loro presenza consente un beneficio difficilmente quantificabile in termini finanziari, ma preziosissimo: la tenuta sociale, la forza del legame, la trasmissione alle generazioni di nuovi nati di un patrimonio imperdibile.

Soprattutto però queste donne tra i 55 anni e i 65 anni sono un sostegno insostituibile ai genitori o ai suoceri o alle zie e zii anziani e che altrimenti sarebbero in carico dell’assistenza sanitaria o sociale nazionale, perché si sa che le badanti costano, non tutti possono permettersele, e poi mai è sufficiente la presenza sia pure amorevole di una persona che non è della famiglia. Non parlo a caso: lo so, lo vedo, lo sperimento.

C’è un’altra questione: e qui siamo all’assurdo. Molte donne sarebbero disposte, anzi felici, di restare fino anche a 70 anni al banco di lavoro: hanno sistemato al meglio nipoti e suoceri, ronzare per casa non interessa. Ma a quel punto sono obbligate a stare a casa. Penso a molte insegnanti delle elementari e delle medie che, al culmine della loro esperienza, oggi tremano perché avendo sessantadue anni temono di essere mandate a casa in pensione… Incredibile: lo stesso Stato che progetta di rinviare l’età pensionabile, però nel frattempo le tiene col fiato sospeso perché le vuole forse cacciare per far posto alle nuove leve. E qui bisognerebbe capire la logica…

Insomma: ci sono gli scrocconi, quello è un fenomeno grave. Va contenuto e represso: guai ai fannulloni e a chi si ingegna per cavare ogni denaro possibile dallo Stato per farsi finanziare il far niente. Ma non può essere un alibi per non guardare la realtà. L’abuso di alcuni non può diventare motivo per far del male ai buoni. La vita insegna che si possono scrivere dei numeri, ritenerli perfetti, decidere in conseguenza, senza tener conto davvero del rapporto tra costi e benefici. È il caso di un provvedimento pensionistico che rinvia il pensionamento delle donne: in teoria parifica i sessi, e fa risparmiare lo Stato; in realtà ferisce il buon senso e manda ancor più a soqquadro la vita delle famiglie già penalizzate in ogni modo da questa crisi e dalla cultura dominante.