Per la prima volta nella storia della Repubblica ci sono stati i franchi tiratori all’incontrario. Franchi specialmente con la loro coscienza. Il loro voto non serviva, a rigor di logica. La legge sarebbe passata lo stesso. E allora come si spiega questa faccenda? Un’idea l’ho: c’è stato un sussulto di coscienza, una ribellione rispetto all’invasione senza regole né rispetto da parte della magistratura e subito dopo dei giornali che pubblicano e distruggono la gente rovinandone la reputazione per il gusto di farlo o per ragioni di avversione politica.
Sto parlando della legge sulle intercettazioni telefoniche, ovvio. Ieri è passata alla Camera e dovrà essere definitivamente approvata al Senato. È andata così: siccome c’è di mezzo una questione delicata e con implicazioni eticamente sensibili si è votato segretamente. La sinistra sperava in un ribaltamento, visto che solo Dio vedeva. Ecco. Ventuno deputati dell’opposizione hanno votato con la maggioranza. Hanno liberato le mani dai legacci e dal ricatto di partito e delle lobby che se non obbedisci loro ti mettono in croce (quella dei giornalisti e quella dei forcaioli, oltre che quella più cospicua che è la magistratura).
Un paradosso simpatico. Si pensi che le sinistre e (in parte) anche l’Udc hanno motivato la loro opposizione alla legge sostenendo che non ci sarebbe stata più la possibilità di investigare, e soprattutto che questa legge legherà le mani ai cronisti, soffocherà la libertà di esprimersi, ucciderà l’articolo 21 della Costituzione che garantisce la libertà di pensiero e di parola. E il cui primo paragrafo dice: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”. I poveri 21 onorevoli di sinistra hanno dovuto agire in segreto, impossibilitati a dire davvero ciò che sentono in coscienza. A loro in fondo è stato impedito di esercitare in pienezza il diritto sancito dall’articolo 21 (ironia del numero 21).
Il lamento della sinistra è dunque duplice. I delinquenti potranno agire impunemente. Inoltre, siccome ora non si potranno più pubblicare intercettazioni prima del processo né in alcun caso conversazioni non attinenti a reati, si dice che la Costituzione è violata, e oltre alla giustizia è morta anche l’informazione.
In realtà c’è un articolo che in Italia non è mai trattato con il peso che dovrebbe avere. L’articolo 15, che tutela la riservatezza delle comunicazioni. Dice: “La libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili. La loro limitazione può avvenire soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge”.
Ecco, questa legge stabilisce quali motivazioni debba dare l’autorità giudiziaria per violare libertà e segretezza delle comunicazioni, e stabilisce garanzie anche per chi questa violazione deve subire per ragioni di giustizia (tipo non buttare in piazza tutto; tipo limitare a 60 giorni).
Molti hanno sottolineato le spese folli di queste intercettazioni (quasi 500 milioni di euro l’anno), il numero spaventoso di intercettati (sono milioni i tabulati analizzati, e i tabulati consentono di seguire i movimenti e le relazioni del proprietario del telefono). Ora accade questo oggi: non solo è violato l’articolo 15 della Costituzione. È violato proprio l’articolo 21, perché questa quantità enorme di intercettazioni, e la probabilità niente affatto piccola di essere ascoltati da altri, e per di più poi trasformati in spettacolo per i clienti dei giornali e delle tivù, induce molti a non esprimersi liberamente, a limitare la propria libertà sulla base della paura di essere ascoltati, equivocati, sorpresi in confidenze, eccetera eccetera.
Adesso, questa legge, quando passerà al Senato, ci darà un po’ più di respiro, ripristinerà il diritto della persona come superiore al diritto del collettivo, della massa a cui offrire in pasto l’intimità di singoli più o meno impotenti, ma comunque in quel momento colpiti a tradimento.