Questa è una storia bellissima e impossibile. Ha una forza simbolica eccezionale. Può essere tutto: che finisca così, con una gloria effimera. Oppure può essere un punto di partenza. Qui proviamo a evitare che sia insabbiata, dimenticata oppure travisata, ridotta a un incidente folcloristico, devoto, consolatorio.

Veniamo al punto. Per la prima volta una istituzione europea ha affermato la negatività dell’aborto, il diritto-dovere di mettere al primo posto la persona, affermando uno di quei principi non-negoziabili che Benedetto XVI invoca continuamente, non in nome di una etica cattolica, ma sulla base di un amore semplice alla verità del nostro essere uomini.



È accaduto il 7 ottobre di quest’anno. Si doveva discutere e votare su una risoluzione al Consiglio d’Europa. Per intenderci, qui c’è un’assemblea parlamentare che raccoglie la volontà popolare di 47 Paesi d’Europa. Non solo i 27 dell’Unione Europea, ma qualcosa di più largo: ci sono anche la Russia, la Turchia, l’Albania, la Georgia, l’Ucraina…



Non è un’istituzione da niente. Da essa dipende la Corte europea dei diritti umani. Siamo noi del Consiglio d’Europa ad eleggere i suoi giudici, gli stessi che hanno stabilito di togliere i crocefissi dalle pareti dei luoghi pubblici.
 
In ballo stavolta  c’era una decisione sull’obiezione di coscienza di medici e operatori sanitari in tema di aborto. Nelle commissioni la tesi era quella solita del nichilismo progressista che domina nella cultura dell’Occidente. E cioè chi sceglie di dire di no all’interruzione volontaria di gravidanza nega la libertà individuale delle donne.
 



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Tutto è stato predisposto per limitare la scelta libera e cosciente di ginecologi e infermieri. Essi – secondo il documento portato avanti da socialisti ma anche da esponenti del Partito popolare europeo – devono essere obbligati a praticare l’aborto in caso di urgenza, oppure quando l’ospedale dove provvedere all’eliminazione dell’intoppo (che sarebbe un bambino) sia considerato lontano.

Non basta: si deve dichiarare che non ci può essere alcuna clinica riconosciuta dallo Stato che non preveda nelle sue strutture di operare gli aborti. Insomma, venendo al concreto: o il Policlinico Gemelli o la clinica dei Camilliani devono essere disponibili alla pratica che avete capito.

L’Italia viene citata come esempio infame: il 70 per cento dei medici e il 50 per cento degli anestesisti obietta. Occorre intervenire.
La battaglia era perduta. Nelle commissioni affari sociali e in quella delle pari opportunità passano emendamenti sempre più duri. Si rifiuta qualsiasi dialogo, mediazione, eccezione. Niente da fare, in apparenza. Invece…

Invece un gruppetto (Volontè, eccellente capogruppo nel Ppe, un irlandese, un olandese, un lituano protestante, i russi, chi qui scrive) prepara emendamenti. Si prova a ragionare sulla realtà piuttosto che sull’ideologia. Dimostriamo che l’obiezione di coscienza attiene alla libertà incoercibile. Si dimostra che la preparazione del rapporto ha escluso testimonianze non allineate alla tesi precostituita.

Ed eccoci in aula. Diciamo le nostre ragioni. Proponiamo di ridiscutere tutto. Non accettano, i nostri avversari. Emendamento dopo emendamento, guadagniamo consensi. La risoluzione cambia radicalmente. Diventa l’affermazione del primato della persona, del buon diritto all’obiezione, della negazione del diritto all’aborto. 
 

 

 

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Vinciamo tutto, nello stupore di chi era abituato a colonizzare e a imbrigliare il giudizio di tanti parlamentari. Dalla Georgia arrivano in aereo i parlamentari, con un volo predisposto per questa scelta. In Albania, il Parlamento sospende le sedute per consentire il voto ai due rappresentanti di Tirana. Gli ungheresi, con gravi sacrifici economici, arrivano in tempo. Risultato: 56 contro 51, più 4 astenuti.

Noi italiani abbiamo fatto fatica ad esserci. Personalmente ho ricevuto un sms intimidatorio che mi imponeva di non partire firmato dal capogruppo, senza che ci fossero votazioni in aula. Ma un gruppetto del Pdl ha sfidato l’imposizione e c’era. Bergamini, Tofani, Nessa. Uno dell’Api, Russo. Uno dell’Api di Rutelli, Giacinto Russo. Oltre a Volontè dell’Udc, il capogruppo Ppe. Nessuno dei democratici cattolici del Pd.

C’è un’altra Europa, che non dà per scontato che il mondo scivoli inesorabilmente verso il nichilismo. Se ne sono accorti in Francia, in Gran Bretagna. In Polonia i deputati sono rientrati e hanno indetto manifestazioni per contrastare l’inerzia del dissolvimento di una tradizione. In Spagna, la risoluzione è già usata contro le leggi liberticide di Zapatero. In Russia il Patriarcato di Mosca guarda con stupore felice. Da noi: zero, nessuna dichiarazione, solo Avvenire dà spazio. Il resto della politica si ferma al reciproco addentare i polpacci.

Eppure qualcosa accade. Niente trionfalismi. Tra l’altro anche se si vincesse sempre, questo non è garanzia di un bel niente. Non sono le leggi a cambiare il mondo. Anche se avessimo perso la partita sarebbe quella di sempre: non è certo la politica a salvare l’uomo, e neanche i politici. Ma c’è una unità nel riconoscimento delle esigenze del cuore che spalanca orizzonti nuovi per l’Europa. Tocca accorgersene. Lavorare per questo. Sapendo che – come dice T. S. Eliot – perché distruggano gli altari bisogna pure che prima qualcuno li costruisca.

Personalmente, in questa battaglia devo dire che molto ho imparato dai nostri amici che scrivono su IlSussidiario.net, da Andrea Simoncini a Marta Cartabia. Abbiamo scoperto un attimo dopo che questa vittoria è accaduta il 7 ottobre, anniversario di Lepanto, festa della Madonna del Rosario. Forse la bandiera d’Europa, che ha il fondo azzurro e la corona di stelle come dice della Madonna l’Apocalisse, ha qualcosa di profetico. Purché noi ci si converta.