È stata dura, ma alla fine ha vinto il buon senso, senza vincolo di partito e di governo, basandosi sulle convinzioni, e finalmente mettendo fuori gioco i trucchi. Non è stato indolore. Parlo di caccia. Cavour sosteneva che toccare la caccia era un modo sicuro per far cadere i governi. Com’è noto gli uccelli non votano, i cacciatori e chi fabbrica fucili, sì. E dunque si è inevitabilmente condizionati da lobby, legittime ma molto brave a dir bugie per i propri interessi.

C’era in ballo l’articolo 43 della legge cosiddetta comunitaria, che trasferisce nell’ordinamento italiano le regole provenienti dall’Unione Europea. Si trattava stavolta di recepire la direttiva europea la quale ha come obiettivo la salvaguardia della fauna, dell’habitat, implicando perciò regole precise per l’attività venatoria.

Non c’era di mezzo un no radicale alla caccia, una divisione tra partiti ideologici, ma qualcosa che attiene alla civiltà, su cui non dovrebbero eccepire neanche i cacciatori. Occorreva impedire il permesso di abbattere certe specie di uccelli nei periodi in cui volano verso i luoghi dove nidificare, nel tempo della costruzione del nido, della riproduzione e cura delle creature appena nate. Su faccende come queste non c’è bisogno di essere nemici delle sparatorie ai cigni e ai fringuelli, basta avere un minimo di rispetto per se stessi.

Una faccenda chiara, limpida, impossibile non vedere la ragionevolezza di questa legge. Invece è stato necessario battersi. Cos’era successo: al Senato avevano vinto le associazioni venatorie estremiste. Le quali avevano consentito a trasferire la materia alle regioni per allargare indefinitamente i periodi dove consentire l’uso della doppietta.

La cosa avrebbe provocato, se confermata alla Camera, due effetti: un danno enorme alle specie più indifese; multe salate da Bruxelles per l’evidente aggiramento delle norme. Ce ne sarebbe un terzo di effetto: la perdita – per chi vuole apprezzarla – della dignità del cacciatore, un’attività che mi ostino a ritenere qualcosa di nobile se c’è di mezzo una sovrabbondanza di una specie animale, e se c’è una partita leale tra l’uomo con il fucile e l’altra creatura.

Isidoro Gottardo, friulano, ha cercato una via d’uscita, che non fosse una mediazione, ma tenesse presente le regole del realismo politico e quelle del bene comune. Ha detto in aula di aver tenuto presente l’insegnamento di Benedetto XVI sulla nostra responsabilità: “La custodia del creato è un importante fattore di pace e di giustizia”. È l’“ecologia umana”.

In una prima fase erano passate modifiche blande. La Lega premeva per dare più possibile cartucce ai fucili. Sembrava in dirittura d’arrivo che dovessero vincere loro. Infine i rapporti di forza sono cambiati, grazie a un dialogo serrato, alla disponibilità di molti a rimettere in discussione le proprie convinzioni basate su notizie d’importazione acritica.

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E un ambientalista come Ermete Realacci, un democratico che appartiene all’Intergruppo della Sussidiarietà e responsabile di green economy, ha commentato: “Il Parlamento ha corretto una pericolosa deriva che voleva la caccia fuori dalle regole. È un risultato positivo, dopo un dibattito aspro e franco: non sarebbe stato possibile raggiungerlo senza la sensibilità dimostrata da un gruppo di parlamentari della maggioranza nei confronti dei temi ambientali. Ora basta con i colpi di mano della minoranza estremista che, contro il volere della maggior parte degli italiani, pretendeva di dare il via libera alla caccia senza freni”.

 

In aula sono intervenuto anch’io. Trascrivo il mio intervento solo perché non è tanto mio quanto di un grande scrittore russo: «Signor Presidente, un brano di Anton Cechov mi sembra portare la questione sull’essenziale. Infatti, non si tratta di essere pro o contro la caccia in generale, ma contro la caccia quando non ha nulla di etico. Il brano è il seguente, è del 1892 e riguarda due amici:

 

“Ieri sera siamo andati a caccia insieme. Il pittore mio amico, Levitan, ha sparato ad una beccaccia che è caduta in una pozza, con l’ala spezzata. L’ho sollevata: becco lungo, grandi occhi neri e un bellissimo piumaggio. Mi guarda stupita. Che farne? L’amico fa una smorfia, chiude gli occhi e supplica: ti prego, spaccale la testa con il calcio. Rispondo: non posso. L’amico continua ad agitare le spalle, scuote la testa e scongiura. Intanto, la beccaccia ci guarda con stupore. Sono costretto ad accontentare Levitan e ad uccidere l’uccello. Adesso il mondo ha una deliziosa creatura in meno, e due imbecilli che rientrano a casa per mettersi a cena”».

 

Risultato: voto trasversale, l’emendamento decisivo è approvato con 349 sì, 126 no e 32 astenuti. L’emendamento che limita alla prima decade di febbraio l’allungamento del calendario venatorio e lo vincola al parere dell’Ispra, l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale.