In questi giorni si vota alla Camera la riforma delle Fondazioni lirico-sinfoniche. Il ministro Bondi l’ha fatta benissimo. Ha dovuto agire stretto dall’urgenza, strozzando privilegi, e cercando di salvare una peculiarità italiana com’è l’eccellenza artistica in questo settore. Intanto però sono trecento milioni gli euro che il governo ha deciso di stanziare per rimediare ai guasti e agli sprechi di queste strabilianti scatole magiche. Da cui escono spesso meravigliose armonie e voci, ma anche manine che leste afferrano e inabissano quantità altrettanto mirabolanti di denaro.
Qualcuno ha detto che sono trecentomilioni di euro presi ai poveri per pagare il divertimento dei ricchi. La mia amica Paola Goisis della Lega si è sentita stringere il cuore e ha detto: come glielo dico ai miei insegnanti precari del Veneto che per loro invece questa manna non c’è?
L’occasione è buona per ragionare sul finanziamento agli enti culturali. Storici o estemporanei, vecchi e nuovi. Giulio Tremonti non aveva pianto alcuna lacrima nel suo fazzoletto: via i contributi, se meritano di vivere, troveranno il modo di campare da soli. Ci sono esagerazioni, in questo discorso. E Bondi ha fatto valere la sua competenza, ma resta la questione della cultura.
Dev’essere di Stato come in Francia? Per carità. Deve valere anche qui il principio di sussidiarietà. Sapendo bene che purtroppo la sussidiarietà in Italia è intesa soltanto in senso verticale. Vale a dire, in pratica: oggi ci sono meno soldi dello Stato e del ministero in compenso i comuni, le province e le regioni con l’assessore della cultura leghista organizzano feste celtiche, kermesse della polenta eccetera, con compagnie di giro somiglianti alle coop rosse degli anni Settanta che gemellavano balletti bulgari e cori di (pseudo) partigiani.
La modalità di drenaggio dei fondi pubblici è identica, così pure la volontà di spacciare come messaggio universale la cultura della loro briscola.
Occorre cambiare. Applicare la sussidiarietà tramite un uso nuovo della leva fiscale. Lo Stato di suo prenda in carico alcune grandi cose o discipline essenziali ma poco popolari, secondo criteri rigorosi e senza farsi dirottare dalle mode. Per il resto detassazione che premi il merito.
A me piace l’esempio, a proposito di lirica, del Metropolitan di New York. Non mi risulta che riceva oboli statali o di enti pubblici per via diretta. Ha saputo sostentarsi grazie sia alle donazioni private (deducibili dalle tasse), sia attraverso ingegnosi sistemi di diffusione culturale dei propri archivi.
Dal 1931 la radio si collegava al Metropolitan per trasmettere le recite operistiche. Il Metropolitan è tuttora in possesso di migliaia di nastri registrati dalle radio. In America già da anni, superato il limite di 25 anni per i diritti delle registrazioni, le medesime vengono vendute in sontuose confezioni.
All’inizio, era il nome di Dario Soria (capo della Metropolitan Opera Guild, associazione nata nel 1935 per diffondere la cultura lirica e per cercare supporti per il teatro newyorkese) a impreziosire i bellissimi cofanetti discografici venduti in America a prezzo alto, ma deducibile dalle tasse. Già nel 1985 il teatro commercializzava la serie “Historic Broadcast”, 12 mitiche rappresentazioni registrate dalla radio nei sabati pomeriggio, a 125 dollari, da versarsi al Metropolitan Opera Fund. Cinquecento dollari servivano invece per aggiudicarsi una delle “Centennial Collections”.
Ancora oggi questi dischi sono in vendita: basta vedere il sito web. I cd si vendono a 100 o 150 dollari, di cui sono deducibili dalle tasse rispettivamente 85 e 135 dollari.
Con questi e altri sistemi, la Metropolitan Opera Guild ha raccolto ingentissimi finanziamenti. Nel 1989, solo col merchandising per esempio raccolse 6 milioni di dollari.
In America, grazie al sistema fiscale, i privati che vogliono contribuire ai teatri lo possono fare deducendo gran parte dell’importo dalle tasse. Pure i biglietti dei teatri sono deducibili.
Perché non fare così in Italia, anche per il cinema? Per le iniziative culturali? Ho in mente invece come accada il contrario.
Nella mia città, Desio, abbiamo organizzato un concerto per sostenere l’Avsi (per chi non lo sa è una benemerita associazione di volontariato internazionale) e le sue iniziative, specie le scuole in Africa e in Iraq. Nessun aiuto dallo Stato. In compenso pur essendo lo spettacolo di canzoni tradizionali spagnole, senza diritti d’autore esigibili, si è prontamente presentata la Siae che ha portato via un sacco di soldi ai bambini africani per mantenere la sua struttura e passare il rimanente ai vari Gino Paoli o Claudio Baglioni. Vi pare giusto? A me no.