Nonostante tutto non riesco a ricordare Oriana Fallaci mettendogli in bocca e negli occhi la rabbia contro l’islam. Anche se per reazione all’ipocrisia verrebbe proprio voglia, perché le celebrazioni che la riguardano vogliono isolare o trattare come folle e vecchia la Fallaci degli ultimi anni, quella dove aveva assunto la parte di Cassandra e gridava Troia-brucia-Troia-brucia.

Oriana è stata di più, infinitamente di più che antislamica. Uso non a caso la parola “infinitamente”. Perché guardarla in faccia com’è nel ricordo di chi l’ha conosciuta, significa attingere all’essenza stessa dell’essere uomini: un amore alla vita fuori di ogni misura, dunque smisurato, infinito perché di meno dell’infinito c’è solo il nulla e la morte.

Oriana ha odiato la morte, le sue catene ingiuriose. Per questo ha detestato e maledetto l’Islam nella forma in cui le si è palesato dinanzi agli occhi e le è entrato nel naso con la polvere da sparo di Beirut e con il cemento dissolto insieme alle ossa degli americani assassinati da Al Qaeda l’11 settembre del 2001. Ha odiato e combattuto il culto della morte dei kamikaze e dei loro cantori, il nocciolo di violenza inestirpabile che lei ha visto dentro il Corano, dove la fede si afferma con la spada.

Non importa qui stare a sostenere che esiste un altro Islam. Lei lo ha vissuto così e ha fornito prove per questa sua tesi e questo suo dolore. È stata ingiusta, ma il suo allarme non era e non è campato per aria. Soprattutto su un punto: la furia omicida dei terroristi ispirati all’islam non è derivata dalle colpe dell’Occidente. Non è una reazione esasperata a un’ingiustizia subita. È una violenza sorgiva, è una volontà di sopraffazione che non deriva dall’umiliazione sofferta, ma è dentro il basamento stesso del Corano così come l’ala purtroppo egemonica dell’Islam militante lo intende. Magari per ragioni tattiche e di furbizia non lo dice apertamente, ma quest’idea di metterci sotto i tacchi esiste eccome nei militanti anche italiani del partito delle moschee sempre e dovunque.

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Sia chiaro. Contesto – e l’ho fatto quand’era viva con Oriana – il suo giudizio totalmente negativo sugli uomini e le donne che hanno “fede musulmana” (espressione di Papa Benedetto XVI a Colonia, nel 2005) . Oltretutto si contraddiceva quando elogiava i musulmani decapitati da Al Qaeda. Però sia benedetto, ci voleva proprio il suo squillo di tromba. Prima di essere una condanna dell’islam era (ed è ancora) un attacco alla vigliaccheria dell’Occidente e in esso specie dei politici e degli intellettuali. La vigliaccheria nasce quando non si ama niente di grande, quando non si vuol bene ai figli, perché come diceva Manzoni “l’amore è intrepido”. Dunque i vili non amano. E neanche odiano: campano, tirano a campare, soffrendo il meno possibile.

Dunque è una gigantesca truffa incolpare Oriana Fallaci del gesto vigliacco e squallidamente esibizionista di coloro che hanno minacciato – e qualcuno l’ha fatto davvero – di incendiare il Corano. Gentaglia, la quale sa bene di non rischiare nulla personalmente ma di fornire alibi alla persecuzione anticristiana. Quella vera. Quella dove gli inermi non hanno nessuna FBI o polizia che li difenda. Ed è ciò che precisamente è accaduto in India, dove tanti sono morti a causa di quei mascalzoni vestiti da reverendi.

Ma anche qui: l’Islam non è violento in Kashemir o in Punjab perché qualcuno lo provoca. Il terrorismo islamico è sorgivo, originario, l’imposizione della religione con il ferro, la sottomissione di chi non ci sta, è iscritta nei sacri testi e insegnata nelle scuole coraniche. L’islam oggi dominante regala occultato o bene in vista il pungiglione ai suoi fedeli. Non è per cattiveria che ce l’hanno addosso, è una specie di dotazione fornita con il Corano. Come le api le quali uccidono se stesse pur di colpire.

Non c’è una tattica o una strategia adatte alla bisogna. Ho in mente delle testimonianze. Gente che non si stanca di incontrare le persone, di mostrare un amore più forte della morte. A volte a costo del martirio di sangue. Altre volte tutto si scioglie in amicizia. Di certo non serve la paura che genera guerra, ma il coraggio di essere se stessi, di comunicare una speranza, quello sì. È magnifica – e mi piacerebbe parlarne ad Oriana, ma non si può più – l’esperienza dei nostri amici in Egitto che hanno semplicemente incontrato dei musulmani senza tirar fuori la spada e senza occultare la propria fede, ma essendo nella pienezza della loro umanità e li hanno chiamati amici. Questo cambia il mondo. E vorrei tanto oggi che Oriana potesse vedere dal cielo molti di questi miracoli.