La Camera dei deputati il mattino e il Senato poche ore dopo hanno approvato il 12 gennaio una risoluzione per la libertà religiosa e contro la cristianofobia. Il documento è stato firmato da tutti i gruppi, nessun voto contrario, alcune astensioni.

Sono stato tra quelli che hanno materialmente redatto il testo, ed è stata un’esperienza unica. È come se in quelle ore avessimo ritrovato insieme il centro di gravità della politica, l’asse intorno a cui ruota un mondo dove sia possibile una vita buona e che la politica ha il compito non di generare o programmare, ma di difendere, di farsene serva.



Provo a dire perché è importante, e lo è, nonostante nessun giornale e nessun notiziario televisivo vi abbia dato una qualche importanza. Perché va in controtendenza: dice che la politica non è solo urla e bisticcio, ma anche costruzione, tutela della libertà di italiani e non, qui e fino agli estremi confini della terra.



Ci siamo resi conto, mentre lavoravamo, che eravamo stati messi lì grazie ai meccanismi della democrazia, ma essa non avrebbe senso alcuno se fosse un gioco che si esaurisce nelle sue regole. Essa pesca – se vuole durare – in qualcosa di essenziale di cui essa è strumento: un’esperienza popolare il cui contenuto principale è il tentativo di rispondere a quella domanda inesorabile che è il senso religioso.

È la “libertà religiosa”, quando essa non sia intesa come qualcosa di astratto, o una marginalità concessa da un potere benevolo o negata da uno cattivo, una specie di ossessione di coloro cui piace l’odore delle candele. Ma no… La libertà religiosa è invece l’essenza semplice e incomprimibile della vita di ogni uomo e di ogni popolo. Non è un fatto privato, ma personale. E perciò stesso ha una dimensione sociale e pubblica. Come scrisse già Platone: è più facile costruire una città sopra le nuvole che una repubblica senza Dio.



Ci ha radunati il sangue che ha imbrattato sulla parete della cattedrale dei Santi ad Alessandria d’Egitto l’immagine di Cristo, e ha come risvegliato per un attimo la coscienza di tutti noi. Ci sono attimi che dicono la verità. E a tutti è parso chiaro che non è stata violata e non si sta violando ovunque una generica libertà religiosa, ma c’è proprio un atto di odio diretto e feroce contro i cristiani. E i cristiani sono loro malgrado come i canarini del grisù. Se muoiono loro è segno che presto può morire insieme alla loro libertà quella di tutti.

C’è una parola nuova nel lessico delle mozioni parlamentari e degli impegni chiesti al governo. Là dove si definisce la cristianofobia e si chiede al governo di impegnarsi contro di essa: è importante averla individuata come ideologia del nostro tempo cruenta in Asia e Africa, strisciante in Occidente. L’odio alla presenza cristiana ha una sua feroce specificità che la imparenta con l’antisemitismo.

 

La cristianofobia si esprime in un piano di espulsione dei cristiani dai Paesi a dominanza islamica, come già accaduto e sta accadendo verso gli ebrei. La cristianofobia è un caso specifico tanto più grave perché finora è stata invisibile agli occhi delle istituzioni e dell’opinione pubblica europea. L’Europa è portata a odiarsi. Ma il suo modo di odiarsi è ancora colonialista. Perché odia – nei suoi ceti intellettuali e politici dominanti – il cristianesimo, nega la sua sorgente cristiana, ma anche la propria origine pre-cristiana, legata al logos greco, cioè la certezza che l’uomo è capace di verità, di rapporto con l’Essere.

 

E allora l’Europa tende a diffondere l’idea di libertà religiosa come indifferentismo religioso, come dittatura del relativismo, e li vuole imporre come via alla moderna idea di libertà. Una falsificazione. La mozione qualifica al contrario come cristianofobica anche la tendenza a negare la “pertinenza pubblica della fede cristiana”. Si esprime esattamente in questi termini. E non è forse per difendere e promuovere questa “pertinenza” che si fa politica?