Negli ultimi anni la ricorrenza dell’eccidio nazifascista alle Fosse Ardeatine non è stata un giorno di riconciliazione ma di polemiche feroci. Sto parlando della sentenza su Priebke, e delle discussioni a proposito della responsabilità personale di un ufficiale nell’esecuzione di un civile colpevole di niente, ucciso per rappresaglia. E poi della necessità o meno, della liceità morale oppure no di un attentato contro truppe occupanti ma che avrebbe di sicuro condotto a ritorsioni contro gente inerme. Ancora, le rivelazioni e i dubbi sull’effettivo obiettivo dei partigiani comunisti che avevano posato la bomba: erano le SS il bersaglio principale di via Rasella o forse qualcuno aveva previsto che a essere prelevati da Regina Coeli e poi ammazzati sarebbero stati dei capi comunisti eretici sgraditi a Mosca?
Sono tutti argomenti importanti, e la vita è fatta di dilemmi e di ricerca della verità per odiosa e poco commerciabile sia. Però va detto che tutti questi interrogativi hanno trascurato involontariamente l’essenza del fatto. E che cioè i 335 assassinati erano persone con una storia, con degli affetti, alcuni imprigionati perché eroi della Resistenza, altri in base alla appartenenza al popolo ebraico, altri ancora per ragioni che somigliano al caso. Ma tutti con un nome e un cognome, ciascuno con un corpo degno di essere onorato, riconosciuto, considerato come una reliquia da chi ti ha amato.
La sessantasettesima ricorrenza della strage è marcata allora da qualcosa di profondo e unico. Alcuni dei corpi seppelliti non hanno nome. Si sa chi è morto, ma non si è riusciti con certezza a ricondurre i poveri resti di una vita ad una identità. Io non l’avevo mai saputo, pur essendo stato ad onorare quelle tombe. Non ci avevo fatto caso, siamo abituati a pensare al gruppo, al collettivo, all’antica numerica e non ai singoli. Ora la scienza e la pazienza dei carabinieri del Ris ha consentito di risalire dal DNA a nome e cognome di due delle vittime.
Qualcuno può dire: che spreco, a cosa serviva questo impiego di risorse umane e di denaro pubblico per qualcosa che in fondo è polvere? Invece no, esiste la pietà, ed è stupendo che la tecnologia sia uno strumento della pietà per i morti. Dico i nomi: Marco Moscati, ebreo romano. Un vero eroe e martire della Resistenza, oggetto di tradimento; Salvatore La Rosa, siciliano, un soldato sbandato l’8 settembre, un ragazzo semplice, cattolico, vittima di una delazione. Ci inchiniamo dinanzi a questi uomini: la distanza del tempo non rende meno reale il loro sacrificio, e le lacrime del vecchio fratello di uno di loro ci dice che cosa è il cuore dell’uomo.