Comincio con una proposta: oggi, mercoledì santo, i cristiani del Pakistan hanno chiesto ai cattolici di tutto il mondo di accendere una candela e di pregare pubblicamente per Asia Bibi. Nella cappella della Camera dei deputati dirà Messa, con questa intenzione, il cardinal Tauran. Asia Bibi è la signora pakistana, contadina, madre di cinque bambini, condannata a morte nel novembre scorso in Punjab  per aver parlato bene di Gesù Cristo a chi voleva costringerla a convertirsi all’Islam. Ella è in un carcere, in isolamento, guardata come una turpitudine umana dalle guardie.

Se uscisse verrebbe subito uccisa. E’ malata, ma in questa quaresima sta digiunando per la conversione dei persecutori. La sua famiglia è a rischio e vive nel terrore. Essa è “addolorata e furiosa” per l’assassinio di Salman Taseer, governatore del Punjab, musulmano, e del ministro cattolico Shahbaz Bhatti, colpevoli di averla difesa. In una intervista a Repubblica ha raccontato tutto questo e ha affermato che il suo desiderio più grande è “vedere il Papa”.

Per questo ho proposto, con l’appoggio di una quarantina di deputati del Popolo della libertà, un’interpellanza urgente al governo italiano per capire che speranze ci sono per questa donna e la sua famiglia. L’idea è di chiederne l’esilio in Italia, come già successo nel 2006 per il convertito afgano al cristianesimo Abdul Rahman che nel 2006, dopo essere stato condannato a morte, grazie alla moral suasion del Governo italiano e, lo ricordo per onestà, alla pressione in particolare del ministro degli Esteri, Fini, poté essere portato in Italia insieme alla sua famiglia e salvato.

La risposta del sottosegretario Enzo Scotti, per conto di Frattini, in missione all’estero, è stata una presa di posizione fortissima. In testa alla politica estera italiana c’è la difesa della libertà religiosa contro ogni discriminazione in particolare dei cristiani, visto che sono i più colpiti dall’odio. Ha detto di sì alla proposta di richiedere asilo per Asia Bibi. Il tutto senza offendere il governo pakistano che ha puntata alla tempia la pistola degli estremisti islamici.

Frattini si sta battendo con grande audacia anche all’Onu, dove per la prima volta i Paesi islamici hanno evitato di insistere sulla lotta alla diffamazione religiosa (che sta alla base della legge sulla blasfemia, pretesto di persecuzione di cristiani) per accettare la logica della lotta alla discriminazione religiosa delle minoranze.

Eccellente notizia. Che occorre trasformare da testo scritto a pratica reale. Per questo è necessario insistere pubblicamente denunciando le persecuzioni. Senza rancore, con umiltà, ma guai a cedere al ricatto per cui si fa credere che il silenzio o il parlare in modo sommesso di persecuzione possa aiutare i perseguitati. Intanto constatiamo che Asia Bibi, grazie a questa mobilitazione internazionale, non è libera ma almeno è viva, mentre negli ultimi tempi si registrano nel Punjab circa 43 esecuzioni extragiudiziali, persone di cui il nome ci è ignoto o giace sepolto in qualche scartafaccio.

Perché sono stati uccisi? Semplicemente perché era stata presentata una denuncia contro di loro, prima ancora che fossero arrestati o quando i magistrati li avevano rilasciati o, ancora, quando il processo sembrava andare bene, cioè sembrava che le testimonianze contro di loro fossero insufficienti. È il caso dei fratelli Emmanuel, assassinati solo perché si stava facendo chiarezza sulla loro innocenza mentre avevano le manette ai polsi e venivano trasferiti dal luogo del processo al carcere.

Occorre  rendersi conto che in Afghanistan e in Pakistan sono necessari interventi che vadano oltre quello militare, altrimenti le cose, invece che migliorare, peggioreranno. Ho tra le mani il recente documento, reso noto l’altro ieri da parte della Conferenza episcopale cattolica americana, per la voce del vescovo Howard Hubbard, di Albany. Affrontando la questione dell’Afghanistan e del Pakistan, dichiara: «I vescovi americani, profondamente preoccupati per la libertà religiosa in Pakistan, chiedono che questa sia una priorità nella politica degli Stati Uniti (…). Il fallimento nel difendere la libertà religiosa di tutti, soprattutto delle minoranze e nel costruire una società pluralistica tollerante, incoraggia i gruppi terroristici fondamentalisti».

Questo è un discorso anche strategico. Finché si separa il sostegno militare ed economico, e la difesa di questo o quel leader, da un’idea chiara di che cosa sia la libertà; finché si riduce la questione della libertà religiosa a un soprammobile della politica – non sto parlando dell’Italia, sto parlando della politica estera globale sia dell’Unione europea che dei nostri alleati – si finisce per rendere impossibile la pace.

Oggi in Pakistan e in Afghanistan la condizione della libertà religiosa, come del resto in Iraq, è minacciata. La libertà religiosa non è semplice libertà di culto, ma è l’affermazione del diritto-dovere di ogni uomo di cercare la verità senza costrizioni o senza limitazioni. Per questo essa è decisiva ed è il «cuore dei diritti umani» e dunque di ogni politica interna ed estera che sia attenta al vero bene comune.

La libertà religiosa non è una bandiera sopra il tetto. É il fondamento della casa. Senza di essa non c’è convivenza pacifica e umana tra le persone e tra i popoli, senza di essa lo Stato è oppressore, qualunque meccanismo dittatoriale o democratico lo faccia funzionare.