Si chiama “reciproco riconoscimento automatico”. Un documento, un atto, una pratica vidimata in uno qualsiasi dei 27 Paesi dell’Unione Europea, qualora fosse fatto valere questo principio, varrebbe nei rimanenti Stati. Lo sta per varare la Commissione europea (il Consiglio dei ministri della Ue), dopo aver vagliato le osservazioni pervenute a Bruxelles da parte dei cittadini.
Parrebbe una enorme semplificazione della vita e uno sfoltimento della giungla burocratica. Non ci sarebbe da far code agli sportelli o girare come trottole da un ufficio all’altro, se ti trasferisci dalla Spagna alla Lituania. Sei laureato o appartieni a un Ordine professionale a Salamanca? Vale anche a Vilnius. A Bucarest, a Nicosia, a Milano. E viceversa. Bello, vero?
Questo sulla carta. Questo se riguardasse materie dove c’è universale consenso. Ma così come si prospetta sarebbe una rivoluzione universale del costume sociale e della vita comunitaria senza passare dal consenso dei popoli. Un maledetto trucco. Se va in porto questa regola, infatti, altro che lamentarsi perché l’Europa si occupa della misura dei cetrioli. Magari fosse così innocuamente rompiscatole. Invece se passa così com’è questo “reciproco riconoscimento”, l’Europa finirebbe per autorizzare la circolazione della moneta cattiva nel campo del diritto di famiglia e della tutela dei minori, promuovendo di fatto un’invasione di leggi e pratiche violando il principio di democrazia. Insisto: con un semplice trasferimento di carte bollate si introdurrebbe la dissoluzione della famiglia, seminando ovunque l’individualismo assoluto eretto a principio supremo della vita sociale.
Uso parole troppo grosse? Mi spiego. Ilsussidiario.net ha già dato opportuna notizia della questione. Tocca ora tenere alto l’allarme. Infatti i documenti che avrebbero valore universale in tutta Europa sarebbero ad esempio i matrimoni e le adozioni gay. Si verrebbe a creare la legalizzazione piena a Vigevano o Canicattì di una unione omosessuale con tutti i diritti connessi benedetta da un sindaco della Galizia o della Andalusia.
La Carta su cui si regge l’Europa, e il Trattato di Lisbona, e qualsiasi documento approvato dai 27, impedisce l’intromissione della Commissione Europea o di qualsiasi altra “entità” in materie che possiamo definire eticamente sensibili, che sono legate al diritto dei popoli di dare forma alla società secondo la propria idea di bene comune. Insomma: in tema di famiglia, di aborto, di adozioni eccetera. Speriamo che prevalga il buon senso, almeno quello, basta e avanza.
In Consiglio d’Europa (che si occupa dei diritti umani in 47 Paesi – i 27 dell’Ue più Russia, Turchia, Azerbaigian, Norvegia, San Marino, Armenia, Serbia, Moldavia, Albania eccetera) si è già cercato di omologare il diritto di famiglia dei singoli Paesi usando come un ariete l’argomento dei diritti dell’individuo. Così in una risoluzione contro la discriminazione degli omosessuali si è cercato di far passare il principio del riconoscimento obbligatorio delle unioni di gay, lesbiche, trasgender e bisessuali, come pure il diritto all’adozione da parte sia di singoli sia di coppie con questi orientamenti sessuali. Con un impegno cospicuo del Partito popolare europeo, specie del Pdl italiano, si è riusciti a battere questo disegno. Allo stesso modo, si è impedito fosse approvata una risoluzione che limitava l’obiezione di coscienza in tema di interruzione volontaria della gravidanza, affermando “il diritto di aborto sicuro”. In quei due casi citati fu grande la sorpresa, perché la deriva nichilista e individualista ha sempre prevalso in questa assemblea. Forse è possibile resistere. Non in nome della “proibizione” moralistica, ma per amore della persona, della famiglia, dei minori.
Noi crediamo all’Europa, quando si vuole bene, non quando si odia e vuole azzerare la propria tradizione.