Riportiamo ampi stralci dell’intervento tenuto ieri alla Camera dall’on. Renato Farina dopo la condanna in via definitiva del direttore de Il Giornale, Alessandro Sallusti, per diffamazione aggravata e omesso controllo.
Signor Presidente, intervengo per un obbligo di coscienza e per ragioni di giustizia.
Ieri (mercoledì 26, ndr) il direttore Alessandro Sallusti è stato condannato in via definitiva, senza condizionale, alla pena di quattordici mesi di reclusione per diffamazione aggravata e omesso controllo.
Ebbene, se Sallusti conferma la sua intenzione di rendere esecutiva la sentenza e di non chiedere misure alternative, accadrà un duplice abominio. Il primo è che sarebbe sancito con il carcere un puro incidente senza dolo tipico della professione giornalistica, un delitto d’opinione. Il secondo è che finirebbe in prigione per un errore giudiziario conclamato. Infatti, so bene che non ha scritto lui il testo che gli è stato attribuito, a firma Dreyfus. Quel testo l’ho scritto io e me ne assumo la piena responsabilità morale e giuridica.
Chiedo umilmente scusa alla persona offesa, il magistrato dottor Cocilovo, perché le notizie riferite, su cui si basa quel commento, sono sbagliate. Il dottor Cocilovo non aveva obbligato alcuna ragazza ad abortire – come ha riferito l’articolo di cronaca su cui ho impostato la mia opinione – l’ha autorizzata, fatto che per me resta gravissimo, ma di certo non è la stessa cosa. Chiedo quindi scusa.
Sulla base di questa mia testimonianza, chiedo umilmente per Sallusti la grazia del Capo dello Stato che, in quanto grazia, è come la pioggia che benefica anche chi non lo chiede e, dunque, può bagnare anche la testa caparbia di Sallusti, oppure chiedo si dia spazio alla revisione del processo.
Perché non ho detto nulla prima d’ora? Lascio perdere la difesa dei miei sentimenti intimi, dico solo che ho sempre avuto la «sindrome della ballerina di prima fila», stare sulla ribalta, meglio se da eroe coraggioso, figuriamoci se non avrei amato esibirmi. Dunque, perché non ho detto nulla prima?
Ripercorro gli eventi. Prima di dieci giorni fa, prima cioè dell’articolo di Vittorio Feltri sul quotidiano Il Giornale che annunciava la valanga incombente, io non sapevo nulla di nulla, ignoravo non solo la condanna, ma anche che quell’articolo fosse stato querelato da qualcuno, tanto meno da un magistrato. Ho domandato, allora, se la mia testimonianza, con cui mi fossi attribuito l’articolo, avrebbe potuto essere utile a qualcuno o a qualcosa. Mi è stato detto di «no»; la Cassazione non valuta il merito, già stabilito, ma la forma, giudica la congruità del diritto.
Per me, però, una questione decisiva è stata piuttosto un’altra. L’ordine dei giornalisti nel gennaio 2006 svolse un’indagine per scoprire chi si celasse dietro la firma Dreyfus. Sospettava fossi io. Se avesse accertato questa identità, mi avrebbe impedito di esprimere la mia opinione e avrebbe sanzionato il direttore che me lo consentiva. Sallusti sostenne che Dreyfus era un nome collettivo, come Elefantino per il quotidiano Il Foglio. Egli fece questo per amore della mia libertà e della mia persona, tutto per consentirmi libertà di opinione, di pensiero e di scrittura in cui vedeva coincidere la mia passione per la vita.
Si espose sempre per questo in tutti questi anni. Così si espose in seguito, dandomi ospitalità su Libero, da lui diretto, stavolta con il mio nome e cognome ed essendo per questo punito dall’ordine dei giornalisti di Milano con due mesi di sospensione.
Con questi precedenti ero certo, smentendo Sallusti, di causargli ulteriori guai presso l’ordine dei giornalisti della Lombardia per le affermazioni fatte nel 2006 da Dreyfus (e ci sono precedenti palesi di questo atteggiamento). Ho così confidato fino all’ultimo nella remissione della querela da parte del magistrato, fino all’ultimo istante. Non è accaduto. Sallusti intende affermare, costi quello che costi, un principio. Ora spero che quanto detto possa contribuire ad impedire un obbrobrio, consentendogli però di affermare questo principio.
Una sentenza emessa in nome del popolo italiano non può basarsi su un falso storico e, quando accade, questa sentenza va corretta. Sallusti non ha scritto quell’articolo. Se qualcuno deve pagare per questo, sono io.